Tutti concentrati sulla terza rata. Oramai l’argomento non campeggia solamente negli uffici del ministero di Raffaele Fitto, ma anche nei notiziari e le agenzie.
Si legge come una conditio sine qua non per una navigazione in grado di apportare modifiche sostanziale all’economia reale che senza quelle risorse sarebbe confinata alla stagnazione.
La risposta laconica che arriva dal ministero recita: “stiamo lavorando”. E si capisce anche un motivo di stizza da da tanta insistenza mediatica. La fase in cui ci si trova è quella per cui sono stati raggiunti i cinquantacinque obiettivi posti alla fine dello scorso anno. Ora passiamo al voto. Ce lo debbono dare gli uffici di Bruxelles. Consiste nella valutazione tecnica e amministrativa. Sempre Fitto non fa mistero del ritardo che oramai considera un “dato oggettivo”. In questo modo rimanda al mittente del precedente governo certe responsabilità. Ma è pur vero che gli altri paesi non sono messi meglio di noi. Al momento solo tre paesi hanno le carte a posto per pretendere gli siano mandati i soldi. Fitto lo ha detto nell’assemblea di Legacoop.
E pare essere proprio il luogo deputato quello di un’assemblea di imprenditori, assicurare sul fatto che questi soldi arriveranno, spiegare i motivi del ritardo, elencare i perché di tanto ritardo.
E poi ci penserà Giorgia Meloni stessa a dare un colpo alla pratica quando, come ha detto, in sede europea dirà che l’attesa della ratifica del Mes in Italia è legata a questa rata così come alla liquidazione del resto.
Ne esce un Italia da piccolo medio cabotaggio che ha bisogno del do ut des per esistere, farsi sentire, dare carburante al suo motore.
Si dirà che non è l’Italia che volevamo. Sicuramente non quella che voleva la parte sovranista. È però l’unica Italia possibile.
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