AGI – Donald Trump è stato incriminato per la terza volta in meno di cinque mesi. Stavolta per il suo ruolo nel tentativo di sovvertire il risultato elettorale delle presidenziali del 2020.
Quattro i capi d’accusa contestati, tra cui il più grave, messo al primo posto, quello di “aver cospirato per frodare gli Stati Uniti“. Il terzo atto ha seguito il percorso degli altri due: a fine marzo Trump aveva anticipato la sua incriminazione a New York per il pagamento in nero a due donne pronte a rivelare nel 2016 la relazione extraconiugale con l’allora candidato presidente.
Poco dopo l’atto era diventato ufficiale. Poi a giugno era successo a Miami, Florida, quando il tycoon aveva anticipato le mosse della procura, gridando all’ennesima “caccia alle streghe”.
E l’incriminazione, puntuale, era arrivata, quella volta per 37 reati, legati al trasferimento illegale di documenti riservati dalla Casa Bianca al resort di Trump, a Mar-a-Lago.
Ma se il canovaggio è stato lo stesso, la gravità dei reati contestati è andata crescendo: quella che oggi il super procuratore federale Jack Smith, nominato dal dipartimento Giustizia per fare luce sull’insurrezione del 6 gennaio 2021, ha contestato è la più grave, perché presuppone il tentativo di “frodare” gli Stati Uniti.
Nessun presidente in carica o ex, prima di Trump, era mai stato incriminato per reati penali. Il tycoon è stato incriminato addirittura tre volte. Lui, poco prima che la notizia diventasse ufficiale, aveva parlato ancora di “caccia alle streghe” e di “persecuzione politica da Germania nazista o da ex Unione Sovietica”.
Il tycoon ha respinto le accuse, ribadendo di non aver fatto niente di male, anche se non ha spiegato perché avesse ordinato al manager del resort di cancellare le immagini registrate dalle telecamere di sicurezza del resort di Mar-a-Lago.
Gli altri tre reati contestati riguardano, al punto due e tre, il tentativo di interrompere una procedura ufficiale; al punto quarto, di aver preso parte a un piano per negare al popolo i diritti civili fissati dalla legge o dalla Costituzione.
“Ciascuno di questi complotti – si legge nell’atto di incriminazione – è stato costruito sulla base di informazioni false diffuse dall’imputato, prendendo di mira una funzione fondamentale del governo federale degli Stati Uniti: il processo di raccolta, conteggio e certificazione dei risultati delle elezioni presidenziali”.
“Il mio ufficio – ha dichiarato il procuratore Smith – cercherà di ottenere un processo senza ritardi”. Nell’incriminazione si parla di altri sei complici, ma non sono stati indicati i nomi.
Le accuse rappresentano un momento straordinario nella storia degli Stati Uniti: un ex presidente, che si trova nel pieno della sua campagna elettorale per tornare alla Casa Bianca, è accusato di aver usato il suo potere per sovvertire la democrazia e restare al suo posto, nonostante il voto espresso da piu’ di 150 milioni di americani.
L’incriminazione arriva più di due anni e mezzo dopo l’insurrezione a Washington dei sostenitori trumpiani, alimentati dal comizio infuocato del tycoon, che assaltarono i palazzi del Congresso, a Capitol Hill.
Ma i tentativi di Trump di bloccare la certificazione della vittoria del suo rivale, Joe Biden, non sono finiti qui, almeno dal punto di vista giudiziario: il tycoon dovrebbe essere incriminato anche dalla procura di Fulton County, Georgia, per aver tentato di ribaltare il risultato elettorale di quello Stato chiave nella corsa presidenziale.
L’atto di incriminazione verrà presentato probabilmente questo mese. E Trump, come sempre, lo anticiperà con un post sulla sua piattaforma privata.