Un tempo ci fu la Fiat. Fca non è lo stesso. Facente parte del gruppo Stellantis il nostro paese sembra aver abdicato a un gigantesco ramo d’industria. IL timore si accentua con una costatazione di fatto. Fino all’anno scorso gli impianti, francese e italiano, pare, avessero una produzione almeno vicina. I due livelli invece tendono a distanziarsi. I numeri sono sempre eloquenti. E leggendo i dati fa impressione la sproporzioni del nostro paese con quello francese in cui il settore dell’automotive ha conosciuto un grande impulso grazie all’arrivo di Stellantis. Quella che un tempo era il fregio del Made in Italy oggi produce tredici nuovi modelli. In Francia se ne fanno ventiquattro! In Italia si annunciano messi fuori azienda duemila lavoratori a dicembre. Appare come il quadro di un comparto industriale oramai pronto a fare le valige. Ed anche su questo la polemica del leader di Azione Carlo Calenda con La Repubblica che è proprietà di Elkan e dello stesso quotidiano. IL Corriere di via Solferino però, quasi in risposta, dà dovizie di particolari sulla crisi in corso dell’automotive, un tempo italiano.
Secondo i dati evidenziati dal gruppo editoriale di via Solferino, a fronte dei quattordici nuovi modelli che saranno prodotti in Italia si prevedono in Francia ben ventiquattro. Una differenza che, unita alla crisi di Melfi, dà l’idea dell’inizio di una nuova collocazione. La differenza tra i due livelli produttivi potrebbe allargare il compasso con altri undici modelli in più.
E poi c’è la componentistica. In Italia c’è solo Mirafiori. In Francia ce ne sono cinque! E le prospettive non guardano al meglio. Stesso rapporto di forze quando si parla di riconversione dove pure ci battono cinque a uno. Mortificante il confronto tra i brevetti. La Francia ne conta 1.239 mentre il nostro paese 166.
La metà del fatturato di Stellantis dipende dalle commesse dipendono proprio dai componenti. Anche in tal senso la Francia è meglio organizzata perché ha un progetto a filiera corta per cui almeno un componente dell’innovazione. I fronti sui quali si lavora nella progettazione sono, chiaramente, la transizione energetica: idrogeno e veicoli a batteria.
Quindi, proprio il settore dell’automobile – che per l’Italia ha rappresentato, il motore in grado di trascinare le altre forme di industrializzazione – diventa il nostro lato debole. L’emblema della decadenza di un sistema che però non è detto trascini via con sé tutto il resto perché il nostro paese industrialmente oramai è ben altro. Ma questo solido convincimento si traduce però come una flebile consolazione mancando però un settore forte.