Si ridimensionano i termini di come ieri era stata comunicato il bombardamento a Gaza. Ma certo è che Israele continua nella sua opera incessante di polizia militare a Gaza tesa a sterminare Hamas. Chiaro che su queste categorie logiche il proprio mondo, quello suo alleato, non può stargli dietro. Si sommano invece le petizioni di principio a favore del mondo palestinese fino ad arrivare a vere e proprie affermazioni pro Hamas. Ha parlato in tal senso Erdogan. La Russia ha ricevuto i due leader della controparte militare di Israele. Ieri, infatti, una delegazione di Hamas, guidata dal numero due politico Mousa Mohamed Abu Marzouk, e il viceministro degli Esteri iraniano Ali Bagheri Kani, si è recata in visita ufficiale a Mosca. Non sono stati ricevuti direttamente da Putin (e questo conta) però hanno avuto un’espressione di sostegno. E mentre le ultime notizie dal teatro di guerra del Medio Oriente danno Israele intento a colpire militarmente oltre confine, per debellare i centocinquanta obiettivi sotterranei, lo sguardo degli alleati di questa incursione militare non esistono. Gli Stati Uniti hanno sconsigliato ogni ritorsione militare sulla scorta della loro stessa esperienza. L’Europa non esiste. Ciascun per sé, Dio per tutti. La Francia si evidenzia con l’affermazione dell’invio di una nave militare a scopo umanitario per organizzare una sorta di ospedale da campo.
Ma anche nella ordinaria rendicontazione cronachistica italiana e mondiale la visuale di Israele è cambiata in tre settimane da vittima a carnefice. Dal ricevere solidarietà pelosa da parte di tutti per l’eccidio perpetrato da Hamas durante il rave ai distinguo sui precedenti storici (dopo una settimana), allo scongiurare una ritorsione (dopo due settimane), al prendere proprio posizione a favore di Hamas o al dare solidarietà solo al popolo palestinese etichettando gli israeliani da vittime a carnefici.
Si potrebbe definire come la sintesi di una storia iniziata non sappiamo bene quando: un secolo fa? oppure in quella famosa sentenza dell’Assemblea Nazionale delle Nazioni Unite con proclamazione il 14 maggio del 1948?
In questa vicenda però sorprende la sorpresa degli analisti. Non si poteva pensare che la risposta di Israele si limitasse a la reazione immediata avuta in tempi immediatamente successivi alla strage di questo 7 ottobre. Non ci si poteva aspettare che Israele abboccasse alla tattica dell’attesa per la restituzione degli ostaggi. Nethanjau è stretto da pressioni interne in cui è direttamente ai suoi che deve dare una dimostrazione di forza, ancor prima che alla controparte.
La provocazione della foto coi tre leader dell’offensiva perpetrata da Hamas fatta girare diventa come una manifestazione di forza e una conferma delle motivazioni tesi a spezzare questo cerchio da parte dell’islamismo solidale ad Hamas.
Difficile, invece, fare la tara ai pronunciamenti favorevoli ad Hamas perché sono diversi i paesi che vogliono gestire un ruolo in questa mediazione vestendo i panni del mediatore. Non lo si può fare se troppo schierati dalla parte di Israele, essendo quelli di Hamas i più riottosi a una consultazione di posizioni per trovare punti di contatto. E allora il gioco è che ci si butta da una parte per poi riallineare l’assetto generale. Ma il gioco è vecchio ed è tutto da vedere se i contendenti veri intendano parteciparvi.
Nel frattempo accade, senza precedenti nella Storia, che i primi veri aggressori raccolgano la solidarietà da fette sempre più importanti a cui pare aggiungersi anche la Cina. (Il “pare” quando si tratta di tanto di interlocutori è d’obbligo).
In questo gioco all’isolamento di Israele il pericolo più grande è che questo paese risulti il capro espiatorio per la contesa partita da metà del Novecento dell’Oriente verso l’Occidente. Bisognerebbe frenare prima che scappi qualcosa di cui non si potrà più scrivere.