Un deputato smette di fare l’avvocato se nella sua attività di libero cittadino svolgeva quella professione? Allo stesso modo un imprenditore chiude la sua impresa o la vende se entra in Parlamento? Un qualsiasi professionista smette di operare se in un tempo per forza limitato della sua vita, abbraccia un impegno politico e istituzionale? Non si capisce perché questo debba valere per un Sottosegretario del governo. La risposta facile guarda alle diverse funzioni. La prima citata, quella di deputato o senatore, entra nella sfera del potere legislativo e si pone in una collegialità di elementi, quindi – si dirà – non si gestisce un potere proprio autonomo. Ma come la si mette sulle influenze che può muovere la figura dell’alto rappresentante della cosa pubblica in un qualsiasi contesto professionale? Si tratta di un dato acclarato, oramai, il fatto che qualsiasi deputato o senatore possano trarre degli inevitabili vantaggi nella conduzione della normale professione. Eppure non c’è una regola che obbliga il parlamentare a sospendere ogni attività lavorativa in virtù dell’aver sposato il bene della cosa pubblica che non ammette, di per sé, alcuna compromissione con altra attività tendente a promuovere il bene personale. Se ci fosse le due Camere sarebbero smantellate. Si chiuderebbe per mancanza di personale. E allora a rappresentare la cosa pubblica nella sfera legislativa ci sarebbero solo i disoccupati. Ma anche qui sorgerebbe l’obiezione. Il disoccupato potrebbe trarre illecito vantaggio nella carriera politica per procacciarsi un’occupazione lavorativa prima preclusa. Arriveremmo chiaramente a una Babele impossibile da dirimere.
Non si capisce bene il gradino in più che scatta quando invece si accede nella sfera del Consiglio dei Ministri. Già su Guido Crosetto furono poste delle obiezioni da parte del divulgatore di Fisica e fisico, Carlo Rovelli, durante la Festa del Lavoro a piazza San Giovanni quando disse che un imprenditore nel settore degli armamenti non poteva essere anche ministro della Difesa. (Ammesso e non concesso che fosse accolta l’obiezione, potrebbe però Crosetto fare il ministro in un altro dicastero? Se sì, sarebbe debolissima come risposta perché potrebbe svolgere comunque un’influenza indiretta. Se no, allora l’imprenditore non può fare il ministro). Lo scalino resta sempre il ruolo di parlamentare piuttosto che quello di governo. Quale prerogative e oggettive influenze muove un uomo di governo rispetto a un parlamentare nel complesso e variegato districarsi della cosa pubblica?
A Vittorio Sgarbi in tanti anni da parlamentare nessuno ha mai mosso l’obiezione di bloccare le sue frequentazioni in mostre, gallerie d’arte, esposizioni varie, in virtù del fatto che rappresentava anche la cosa pubblica.
Non si accetta il fatto indiscutibile che Sgarbi, piaccia o no, rappresenti qualcosa nel nostro dibattito indipendentemente dall’essere deputato o sottosegretario ai Beni Culturali. Chi ha dato di più alla cultura, sotto il profilo della divulgazione, Sgarbi o Sangiuliano? E perché il primo dovrebbe essere Sottosegretario in un governo di coalizione di centrodestra verso il quale non ha mai fatto mistero di appartenere, diversamente da Sangiuliano i cui meriti da giornalista non si ricordano, tantomeno quelli di diffusore del sapere umanistico. Incomprensibile, quindi, la chiamata fuori che il ministro ha espresso davanti all’inchiesta e alla richiesta a gran voce dell’estromissione del suo Sottosegretario. Un chiamarsi fuori che in definitiva fa supporre un chiamarsi dentro. “Dentro” la volontà di cacciar fuori Sgarbi dal governo. “Dentro” la fuga di mail dello storico dell’arte-istrione. Ma “dentro” soprattutto a una cospirazione ai danni di Sgarbi che evoca un’ondata prodotta nella compagine di governo e destinata a sconquassarla al suo interno.
La vittima Sgarbi allora dovrà decidere se andarsene scegliendo stavolta il profilo basso oppure se fare il “muoia Sansone con tutti i filistei”. Il suo problema però è che non c’è Silvio a consigliarlo.