È stato arrestato a Lipsia. Filippo Turetta, accusato di omicidio nella vicenda della morte di Giulia Cecchettin, assume così i tratti diabolici. Altro dall’innamorato pazzo che perde il controllo e compie un atto terribile ed efferato per irrefrenabile gelosia. Aveva fatto perdere i suoi contatti a Liens ed era chiaro che la fuga del ragazzo sarebbe continuata verso nord. E infatti questa mattina è stato fermato in Germania, a Lipsia. A darne comunicazione è il suo avvocato Emanuele Compagno. Probabile, quindi, che l’arresto di Turetta sia stato per così dire, concordato. Bloccato in auto sull’autostrada A9 all’altezza della cittadina di Bud Durremberg è stato trattenuto nella sede della polizia tedesca. Le note di agenzia hanno voluto confermare che Giulia, al momento in cui è stata lasciata nel dirupo di Val Caltea, era deceduta. Ma sarebbe sempre Filippo l’autore di tutta la terribile messa in scena.
Nella fuga, sempre Turetta, avrebbe cercato attraverso il computer un kit di sopravvivenza. Sempre nelle ricerche del ventiduenne, gli itinerari per passare il confine dalla parte del Tirolo fino in Austria. Altre ricerche da parte degli inquirenti per verificare se si sia trattato di un omicidio premeditato, per cui il Turetta aveva preordinato strumenti di esecuzione, oppure se si sia trattato di un momento di impeto folle che ha prodotto l’eccidio. Quindi la premeditazione deve essere ancora provata. Ma sicuramente ci troviamo a un passo dall’esserlo.
Nel frattempo il dramma si consuma a casa della vittima. La famiglia Cecchettin, a Vigonovo, vive assediata dai curiosi, da coloro che accorrono per mostrare la loro solidarietà e i giornalisti. Ovviamente. Ci sono due pattuglie dei carabinieri. Tanti fiori davanti il cancello di ingresso della casa. Messaggi, tra cui: “Giulia riposa in pace tra le braccia della tua mamma, sei la figlia di tutti noi. Un abbraccio a tuo papà”. La sua vicenda resterà emblema della morte procurata a donne che avevano scelto di vivere la loro vita al di fuori delle ossessive apprensioni dei loro partner o in genere del loro ambiente. La sorella, Elena Cecchettin, si fa portavoce di tanto di testimonianza. “Io non starò mai zitta. Non mi farete mai tacere”.
Non finirà qui questa storia terribile. Si avvicenderanno i partiti di opinione. Quelli che vogliono una pena esemplare, altri che vogliono chiudere la vicenda con un colpo di spugna e ragionano sui mali sociali. Quelli che guardano a chi avrebbe potuto vedere o fare e non ha visto e fatto… In ogni caso una vicenda come questa insegna l’irriformabilità che hanno, molto spesso, gli atti. Siano questi nati come estremi, siano propiziati da momenti di vuoto della ragione, le parole che servono per darne un contorno di spiegazione finiscono solo di aggiungere altro male al male. Non c’è cura. Né preventiva tantomeno a posteriori. Tantomeno serve prendersela con la retorica del conflitto di genere. La violenza dovrebbe essere confinata, anche nell’immaginario superficiale, a un ambito da evitare assolutamente. Non da abolire per legge. Sarebbe pur questo un comportamento violento. E qui il generarsi all’infinito di una spirale che sembra non avere mai fine.