Non tutti sanno che la nuova Finanziaria prevede un contratto di assicurazione contro le catastrofi per le imprese di un certo rilievo.
Potrebbe sembrare un abbraccio dell’ideologia di governo alla teoria delle catastrofi del matematico René Thom per cui sulla Terra costantemente avvengono sconvolgimenti, anche di breve durata, ma con carattere assolutamente rivoluzionario per il suo ordine naturale. ( La tesi la cui fondazione risiede ad inizio anni settanta potrebbe tornare di moda per dare risposta al catastrofismo ambientale determinato dal riscaldamento della Terra: Global Warming. Potrebbe esser una risposta data dai suoi detrattori ).
Ma qui si tratta di un catastrofismo che è ben altra cosa da uno studio di variabili decifrate attraverso linee descritte in equazioni matematiche.
Si tratta invece della normalità che nel nostro paese il sistema geosismico come l’avvento di tempeste, alluvioni, esondazioni possa totalmente stravolgere l’equilibrio di un’area territoriale in cui insistono attività imprenditoriali e altre grandi aziende.
Quando arriva l’uragano sconvolge tutto. L’industria si ferma. Non ce n’è per nessuno. Che cosa può fare allora il governo? Rifondere per rimettere in piedi l’impresa per dare lavoro alle centinaia di operatori che altrimenti andrebbero sul groppone del sistema economico del paese con sussidi, sostegni ed elargizione di fondi speciali per il recupero.
E allora lo Stato si auto-tutela da tutto questo. Paga l’assicurazione! Ma per fare questo si deve rendere obbligatoria la sua stipula. Come per qualsiasi possessore di automobile che abbia la patente e voglia utilizzare il mezzo deve essere titolare di una polizza assicurativa.
Tutto questo significa, giova ripetere, che l’incombenza dell’incidente in auto così come della catastrofe naturale, è molto prossima e i suoi danni non possono andare sulle spalle di chi possiede i termini proprietà ma nemmeno dello Stato a cui, in Italia, si chiede normalmente di intervenire.
IL motivo di allarme centrale sta nella considerazione che la prossimità degli eventi catastrofici non deve far star tranquillo nessuno.
Ma un altro motivo di inquietudine sta tutto nella definizione del concetto di “rischio di impresa”. Non si sa se sia aumentato o diminuito. Chi apre un’attività in Italia o trasferisce la sua impresa nel nostro paese deve ponderare ogni rischio che notoriamente si sostanzia nella lentezza dei procedimenti della giustizia amministrativa, sui problemi della burocrazia elefantiaca, sull’inflazione, sulla sindacalizzazione diffusa come giusta pratica nazionale, sulla mancanza di stabilità del quadro di governo, sul sistema farraginoso delle banche.
Ebbene oggi si aggiunge anche l’incombenza delle catastrofi. Allora all’imprenditore il governo in carica dice: amico mio, se succede un cataclisma devi vedertela da solo, assicurati che è meglio, anzi, assicurati e basta.
È un passo in avanti sulla ponderazione dell’analisi di rischio nell’investire nel nostro paese? È un passo in avanti, sicuramente: ma nel senso del percorso che si deve fare per arrivare al traguardo di realizzare impresa nel nostro paese.
Ma d’altra parte segna una linea di certezza: Il governo sembra dire: “caro imprenditore, sappi che nel bene o nel male te la devi cavare da solo”. In tal senso consiste in un passo avanti verso una liberalizzazione della nostra economia. Lo sarebbe se tutto il resto della macchina camminasse e si rimuovessero quegli impedimenti menzionati sopra.