Era chiaro a chiunque abbia un poco con le questioni di politica internazionale. La chiacchiera dei “due stati due popoli” per dirimere il costante clima di guerra tra Israele e tutto ciò che sta attorno – pur con diverse accentuazioni e diversi richiami alla resistenza contro l’invasore – serviva solo per dare una formula. Accontentare gli ingenui, ribadire il concetto in qualche assise mondiale per prendersi facili applausi. Oramai una formula di questo tipo non convince. Questo perché, semplicemente, si mostra come non funzionante. I conflitti, piccoli, grandi e ora grandissimi, si sono susseguiti con pochi, isolati momenti di armistizio.
In tutto questo Netanyahu ha il merito di dire quello che pensa. Non si fa abbindolare dai manierismi occidentali, anche se, in effetti, le formule diplomatiche anche in Europa e in America sono andate a farsi benedire da tempo.
E allora non deve stupire questa uscita solitaria del premier israeliano. In questa dichiarazione ammette anche che, fin quando è stato in azione lui, si è impedito letteralmente di arrivare a questa condizione di pacificazione. Quindi il premier non voleva si creasse uno stato per la Palestina.
Si dirà: la volontà pura espressa dal premier dovrebbe essere temperata dalla figura di personaggio politico. Ma soprattutto: una dichiarazione di forza di questo tipo sia fatta per darsi credibilità e aurea di forza davanti al suo popolo. In sostanza: deve galvanizzare il suo esercito, infatti, per convincere tutti a portare avanti questa azione di forza.
Ma a ben vedere questa dichiarazione potrebbe nascondere anche il suo contrario, quindi la sua debolezza. Abbiamo detto infatti che è detta al suo popolo davanti al quale, dicono gli esperti di Medio Oriente, ha perso molta credibilità.
È detta anche perché in questa condizione Netanyahu ha la possibilità ancora di condurre il gioco da una posizione di forza, in una guerra già avviata, e con la possibilità di saldare il conto verso le frange armate estremiste che si chiamano Hamas ma domani potrebbero esser altri proseliti con la convinzione di riprendere in mano la lotta armata.
Avendo incassato un primo plauso ne vuole giocare fino ad esaurimento tutti gli effetti. E poi il suo dire sostanziale sta nel vero obiettivo militare: “Gaza deve essere smilitarizzata, sotto il pieno controllo di sicurezza israeliano. Non scenderò a compromessi sul pieno controllo di sicurezza israeliano a ovest della Giordania”.
Risponde, prima che sia formulata, all’obiezione fattagli dall’Alto rappresentante Ue Josep Borrell che suona in questo modo: “quando, secondo Netanyahu diventeranno troppi i morti essendo già son troppi?”
Netanyahu non li conta. Né da una parte né dall’altra. Del resto ha anche le sue ragioni. Se tutti concordano sull’orrendo eccidio perpetrato il 7 ottobre, e concordano che una risposta militare doveva pur esser data, quindi con inevitabili perdite di vite, come si fa a porre un limite? Cento o mille morti andavano bene? Ci si ferma quando si è arrivati ad un numero di morti stabiliti da Biden? Un numero commendevole, che non osti la sua campagna elettorale per la rielezione. No. Netanyahu deve arrivare al suo obiettivo militare. Ed è stanare i nemici armati da Gaza. Il resto sono parole.
Si dice tutto questo per un contributo alla comprensione e non per adesione al proposito militare.