Storia di Ida ed altre storie. Poteva titolarsi così il famoso romanzo di Elsa Morante che nel 1974 iniziò un filone di narrativa, anche semplicemente tramandata, per cui per pensare la Storia propriamente della si doveva uscire dai canoni della descrizione di grandi fatti e di personaggi illustri. La Storia più propriamente era quella di tante persone che avevano vissuto certi contesti e se ne erano fatti a loro modo protagonisti.
Si trattava di un piano esplicativo di vere sofferenze e vera lotta assai più chiaro di quello scritto e riscritto sui liberi di testo. La Storia di Elsa Morante iniziava questa tradizione. Ed è sempre su questa che si comprende bene l’orrore dell’Olocausto e assai meno attraverso la esplicitazione di numeri e dati.
Il merito del testo letterario de La Storia non è solo questo. Il romanzo contribuisce a dare un supporto indispensabile alla comprensione dei contesti storici e le effettive circostanze descritte nelle categorie della Storia conosciuta sui testi. Ne fornisce un supporto indispensabile.
Se il romanzo doveva aiutare ad acquisire tutto questo ben lontano ci va l’adattamento trasmesso in Rai.
Prendendo in prestito categorie hegeliane il romanzo potrebbe anche definirsi come le vicende di Ida, Anima Bella, che va incontro al suo Destino. E a ben guardare ogni personaggio è portatore del carattere netto e distintivo dove inevitabilmente trova la necessaria conseguenza di quel che è. Nino, il figlio di Ida, esuberante e spavaldo, indossa la camicia nera per poi liberarsene capendo la mal parata per indossare quella rossa, ma alla fine del conflitto è insofferente alla disciplina di partito e cerca di mettersi in proprio, come sempre profondamente individualistica erano state le sue scelte. Solo che lo stato di allerta dell’immediato secondo dopoguerra consente ancor meno del regime fascista impennate individualistiche. E trova la morte.
Nino paga pegno con la vita per la stessa iattanza comportamentale che in verità mostra il suo nascondersi e rifiutare di vedere il mondo attorno a lui che cambia. (Non si accorge del fascismo in decozione, non si accorge o non vuole accorgersi della madre in cinta e non le chiede chi sia il padre, abbraccia la lotta partigiana sempre nell’esuberanza dell’età senza prendere le conseguenze della disciplina che comporta e il dovere di ricostruire la realtà postbellica).
Ma stessa sorte, in cui vita e morte sono conseguenti dei fondamentali tratti esistenziali, vale per Useppe, il fratello nato da una violenza di un giovane soldato tedesco nei confronti di Ida, è l’espressione della fragilità dello stato delle cose. Anche questa stessa fragilità non potrà che trovare la fine nella sua fine. Il giovane soldato tedesco, Gunther, trova il destino della morte sul fronte come riscatto del male perpetrato a una donna indifesa (Ida).
Ma su tutto c’è Ida che si vede attraversare da tutto, assorbirlo, senza fare mai opposizione. Ed è in tal senso che personifica la categoria di Hegel dell’Anima Bella, menzionata nella Fenomenologia dello Spirito.
Ida nel momento in cui perde tutto, casa e i figli non avendo quindi niente, perde sé stessa. Si confina in una casa di cura per malati mentali e di lei si dirà che ha dimenticato tutto.
Il romanzo sta lì per non dimenticare. Ed è per questo che la stessa Elsa Morante volle fosse pubblicato a brevi sezioni e venduto nelle edicole. Proprio perché fosse acquisito dalle persone comuni e ne divenisse carne e genio.
La serie televisiva ridondante esclusivamente sulle storie personali e insufficientemente sui contesti invece è da dimenticare.