Di silenzi ce ne sono molti. Ciascuno ha una latitudine, profondità e tocca corde percettive remote proprie. Impossibile associarne uno con l’altro. Quindi le varie percezioni del silenzio sfuggono alla dimensione della figura. Altrimenti smetterebbero di essere silenzio per vestire i panni della significazione. Vestono invece l’indicibile. Però non lo coprono. Semmai rendono questo indicibile nella sua assoluta assenza da cui sono generati e per cui restano infecondi.
Su questi vuoti di essenze si è concentrata l’opera di Antonio Donghi, in esposizione a Palazzo Merulana da venerdì 9 febbraio a domenica 26 maggio. Il titolo scelto per l’esposizione di opera è La magia del silenzio.
Definito come “realismo magico” quello di Antonio Donghi consiste nel riuscire a dare potenza astrattiva a qualsiasi raffigurazione del reale. Come se lo stesso fosse riprodotto attraverso i canali dell’immaginazione e così messo in visione sulla tela.
Preso con distacco inizialmente i suoi lavori stavano troppo avanti nel momento di piena esaltazione del dinamismo tipico dell’età futurista, così come nella scomposizione dell’immagine per farne frammenti tesi a dare impulsi visivi, come è in tutto l’astrattismo di pieno Novecento.
Antonio Donghi non è niente di tutto questo. E il tempo gli ha dato ragione. Le opere fanno parte oramai delle antologie di letteratura artistica quando vogliono dare il quadro dell’atmosfera vissuta negli anni Venti e Trenta. Ma con l’accezione di rappresentare la vera sgrammaticatura nelle inquietudini di inizio Secolo.
E non si capisce bene il motivo della sua rivalutazione, oggi. Forse il ritorno di accentramento sulla raffiguratività che l’espressione artistica deve dare al percepito. O forse il ritorno all’universale e necessario di cui fanno parte forme di oggettivizzazione dell’esistente per farci uscire dalla disperante isolazionismo della proiezione puramente individuale. O forse anche il ritorno al mercato e alla necessità di una corrispondenza verso un pubblico senziente, non ipotetico.
L’esposizione di Palazzo Merulana vuole rilanciare questo grande artista rafforzandone la riabilitazione presso gli spazi che contano.
Il bene di avere chiara rassegna dell’intero percorso tracciato dall’artista ha il merito di incontrare anche di dare perfettamente quel senso di sospensione evocato in apertura. La realtà in Donghi appare nuda e cruda, non per questo si evita quell’operazione di astrazione presente nella sfera della conoscenza percettiva. Da non mancare.