Non ci sono impedimenti per questa nuova avventura alle presidenziali dell’ex presidente statunitense Donald Trump. Il lodo del contendere era l’attentato a Capitol Hill dove Trump era stato accusato di essere stato il mandante, per cui avendo tramato per lo smantellamento dello Stato non avrebbe potuto concorrere alla sua massima rappresentanza. Niente di vero. Le esternazioni di Trump in cui offrono un sostegno morale ai rivoltosi possono configurarsi come una sorta di concorso morale. Non possono esser ascritte al Presidente come artefice di un tentativo, per altro assai maldestro e macchiettistico, di sovvertire l’ordine sociale e statuale degli Stati Uniti. Ma il vero riferimento di legge consiste che solo il Congresso può rimuovere il candidato presidenziale. Altrimenti il rischio sarebbe quello del conflitto tra diverse sentenze.
La decisione all’unanimità è arrivata dal Colorado. Si tratta di uno dei sedici stati impegnato al voto del 5 marzo: Super Tuesday. In questo giorno ci sono il molti appuntamenti per le primarie. Se Trump, come prevedibile, dovesse spuntarla avrebbe la strada spianata per la cosiddetta: nomination.
Ad accogliere il ricorso alla prima sentenza che era stata emessa in suo danno sono stati i nove saggi. A volerlo fuori invece era stata la Corte Suprema statale.
Si prevede un plebiscito per Trump che sembra in vantaggio sia nel Texas che in California. Sono questi i due stati dove sono espressi il numero maggiore di delegati, anche perché sono gli stati più numerosi. Obiettivo dell’ex presidente, che vuole togliere “ex” dalla sua definizione, è arrivare da duecentoquarantasette delegati, già aggiudicati, a conquistarsi la maggioranza dei 2.429 eleggibili.
In difficoltà Nikki Haley al palo con quarantatré delegati che ha agguantato il primo successo la scorsa domenica. Haley ha rilanciato alla grande come solo nelle elezioni americane si può. Ha detto all’elettorato repubblicano e simpatizzante: “i repubblicani più vicini alla disfunzionale Washington rigettano Trump e tutto il suo caos”.
La forza di Trump però consiste nell’essere contro tutto e contro tutti, contro il sistema, pur essendone un luminare rappresentante. Infatti ha così replicato ad Haley definendola “regina della palude”, ascrivendole quei caratteri di burocratismo e tecnicismo tanto in uggia all’americano medio.
D’altra parte la risposta di Nikki Haley potrebbe essere quella di non rispettare gli ordini di scuderia indicando comunque il partito repubblicano come approdo del suo elettorato, anche in caso di sua sconfitta. Potrebbe allora concorrere alle elezioni come indipendente, anche solo per danneggiare il suo acerrimo nemico interno di partito Trump.