Roma. Trastevere. Galleria Pentart a Vicolo del Cinque 14. Si chiude questa sera fra l’entusiasmo dei visitatori la mostra dell’affascinante artista David Olivetti. Il trentotenne romano ha esposto oltre che in diverse sedi italiane anche in Spagna e Brasile.
La pittura di Olivetti è una pittura incisiva nella linea e nel contrasto cromatico ma ancor di più nei lineamenti dei volti e nelle linee che ritraggono i corpi. Un messaggio di forte umanità e di verità si sviscera nelle sue rappresentazioni.
L’artista vive la pittura come un atto di rivoluzione: un modo per scoprire se stesso nel mondo che con autenticità ritrae senza pudore toccando anche la deformità dalla quale scaturiscono involontariamente seduzione e bellezza. “Ho sempre voluto creare il vero senza abbellimenti e colori artificiali’– questo è quanto dichiara Olivetti raccontando il suo approccio alla pittura.
La decorazione nei suoi dipinti è quasi superflua. Ma il mondo ritratto da David nella sua autenticità e senza ipocrisie, compromessi o mezzi termini, non è solo deformità, un mondo dove i conti non tornano ma è anche inaspettata bellezza di un particolare. Difatti i suoi dipinti spesso raccontano emozioni di momenti di vita mediante la personale lente di vedere il mondo, non solo attraverso una tecnica che si muove verso la verità: nonostante la violenza tangibile del mondo attuale gli occhi dell’artista riescono a vedere ancora la bellezza. Possono scorgerla anche in un mondo così violento, così vero.
L’esposizione tenutasi nella galleria trasteverina ha riscontrato l’entusiasmo dei visitatori che hanno voluto acquistare le opere. Per un artista avere un riscontro di questo genere significa essere in grado di smuovere emozioni, di catturare l’attenzione e di rapire lo sguardo altrui. Come diceva Paul Klee occhio e sguardo (dell’artista e dell’osservante) sono complementari e continuano a dare un seguito all’opera che non è mai racchiusa in se stessa ne cristallizzata nell’attimo in cui l’artista l’ha ideata. L’eredità dell’arte contemporanea insegna che l’opera ha una vita a sé, incessante, in evoluzione e senza fine.
Silvia Buffo