Per il premier Netanyahu c’è la possibilità che la Corte penale internazionale (Cpi) emetta un mandato d’arresto contro di lui per possibili crimini di guerra
ROMA – Il premier Netanyahu in queste ore è alle prese con la possibilità che la Corte penale internazionale (Cpi) emetta un mandato d’arresto contro di lui, il ministro della Difesa Yoav Gallant e il capo di Stato maggiore Herzi Halevi per possibili crimini di guerra, crimini contro l’umanità e crimini di genocidio a Gaza, vale a dire le fattispecie di reati su cui la Cpi ha il mandato a indagare.
La testata Axios riferisce, citando due alti funzionari israeliani, che domenica scorsa Netanyahu avrebbe telefonato al presidente Joe Biden per chiedergli di aiutarlo a fermare l’azione giudiziaria della Corte dell’Aia. Ancora Axios fa sapere che membri del Congresso di entrambi i partiti americani stanno valutando misure da intraprendere contro la Cpi: il presidente della commissione Esteri della Camera Michael McCaul ha detto che potrebbe arrivare un disegno di legge per sanzionare i funzionari della Corte penale con sede in Olanda. “Speriamo che non si arrivi a questo”, ha detto.
Tali mandati d’arresto sarebbero un atto “vergognoso, infondato e illegittimo” secondo il presidente della Camera Mike Johnson, convinto che “potrebbero minare direttamente gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti: se incontrastata dall’amministrazione Biden, la Corte penale internazionale potrebbe assumere un potere senza precedenti per emettere mandati di arresto contro leader politici americani, diplomatici americani e personale militare americano, mettendo così in pericolo l’autorità sovrana del nostro Paese”.
Ad oggi, gli Stati Uniti hanno scoraggiato la Cpi a proseguire la sua azione, nonostante la Corte internazionale di giustizia (Icj) abbia ritenute plausibili le accuse di genocidio a Gaza presentate dal Sudafrica contro Israele, sostenendo che eventuali mandati di arresto faranno “naufragare i colloqui sul cessate il fuoco”. Stati Uniti e Israele sono tra i paesi – come con Russia, Cina e Sudan – che non riconoscono la Cpi e non hanno ratificato lo Statuto di Roma che la istituisice.