Col quesito sul senso che ancora conserva la celebrazione del cinema nostrano si è celebrata la sessantanovesima edizione del David di Donatello con consegna di premi. Tanti premi. Ciascuno per specifiche qualità onde rappresentare che il cinema si compone di tanto lavoro e di molte maestranze di cui non ci si può privare. Una parolina allora contro l’ingresso dei sistemi computazionali nella realizzazione di scene così come nella selezione delle storie da proporre al pubblico sarebbe andata bene. Un pizzico di polemica conto il mondo e gli algoritmi perfettamente trattati con l’ironia del nostro compianto Mattia Torre nell’ultima serie di Boris.
È stato, come giusto, il riscatto per Io Capitano che si è aggiudicato le statuette del David per miglior film e miglior regista. Sacrosantemente premiato anche Io Capitano anche come miglior produttore, migliori effetti visivi, miglior suono, miglior autore della fotografia e miglior montaggio. IL film aveva ottenuto il Leone d’argento per la miglior regia.
Manierata la presentazione di Carlo Conti contro la quale nulla può la brillantezza di Alessia Marcuzzi assoldata in sostituzione di Jeppy Cucciari vittima di un editto bulgaro ordito dal ministro della cultura dopo la sua gaffe al Premio Strega dove aveva ammesso bellamente di non aver letto i libri che lui stesso aveva votato e premiato. Jeppy si era resa colpevole di aver rimarcato la abnormità di questa condotta.
Niente di tutto questo nella premiazione del David. E un poco dispiace. Lo spettatore vuole sempre che qualcosa vada per storto per divertirsi sull’inciampo di coloro che sono arrivati senza alcun merito. È un modo questo per ristabilire una giustizia nel mondo.
Sì, perché di talento vero in questa kermesse del cinema nostrano ce n’è ben poco. A cominciare dagli interventi dei rappresentanti del governo in carica. Parla la bella Lucia Bergonzoni, Sottosegretario di Stato al ministero della cultura. Rilancia Cinema Revolution, dopo gli ottimi risultati dell’anno scorso. Ed è giusto che sia.
In questo quadro è chiaro ed ordinario che ci si rifaccia ai mostri sacri di un tempo remoto che hanno reso il cinema italiano alla pari di produzioni gigantesche. E quindi l’omaggio è al genio. Federico Fellini resta il nume tutelare del cinema nostrano col quale si difende un’immagine nel mondo ancora oggi.
A fare la parte del leone è anche, e stancamente, il film più sopravvalutato della Storia del cinema italiano: C’è ancora domani che prende sei statuette per diciannove nomination. Qui Paola Cortellesi vince come miglior regista esordiente, miglior attrice protagonista. Il film come intero acquisisce la miglior statuetta per la miglior sceneggiatura originale, miglior attrice non protagonista (Emanuela Fanelli), il David Giovani il David dello Spettatore.
Si tematizzano le contraddizioni del lavoro in Palazzina Laf. Due premi a due interpreti maschili: Michele Riondino, attore e regista, ed Elio Germano: miglior attore non protagonista. Con Diodato premiato per la canzone La mia terra che funge da tappeto sonoro di questo film.
E finalmente premiata anche l’originalità nella trama. Rapito vince per la miglior sceneggiatura non originale, miglior scenografia, miglior acconciatura, miglior trucco, migliori costumi.
Il cinema è anche documentario. E su questo filone vince la memoria di un altro grande del passato: Massimo Troisi. A lui veramente è andato il premio come miglior documentario di Mario Martone.
Omaggi a Vincenzo Mollica, a Giorgio Moroder – geniale autore di colonne sonore che hanno costruito l’intera fama di film nel recente passato – e il David alla carriera per Milena Vukotic che nella sua carriera è passata da da Luis Buñuel e Bernardo Bertolucci, Mauro Bolognini, Andrej Tarkovskij, Nagisa Ōshima, Ferzan Özpetek ma anche al nostrano Paolo Villaggio coi suoi Fantozzi. E il suo messaggio è alla magia del cinema come metafora dell’ineffabilità della vita.