Un processo durato venti anni in cui era accusato di aver diretto o esser stato attore nella cosiddetta trattativa Stato-Mafia. Inquisizione dalla quale ne è uscito per assoluta mancanza di prove da parte degli accusatori oltre che per la provata mancata sussistenza di una vera trattativa.
Ma non poteva finire così. Alla veneranda età il generale dei carabinieri si trova nuovamente indagato per il sospetto di esser stato a conoscenza di attentati criminali e stragisti e non averne fatto parola. Erano tempi, quelli dei primi anni Novanta in cui ci si trovò a un corto circuito dei sistemi di potere in cui cambiando il centro decisionale del paese si modificavano i rapporti di forza con le organizzazioni criminali in lotta tra loro e in lotta contro lo Stato per garantirsi i loro passaggi. Una ricostruzione molto sommaria sulla quale è altrettanto difficile entrare nell’esattezza storicistica vista la mancanza di carteggio “perché il sistema mafioso non ha spese di cancelleria” – per dirla con una vecchia battuta di Woody Allen.
Impossibile allora stabilire responsabilità precise, impossibile oggi delinearle. Quel che succede, invece, è la facilità di essere presi per il naso (si apprezzi l’espressione cortese) dal malavitoso di turno che racconta una versione del tutto inventata per far parlare di sé o per intascare la mancia di un cronista affamato di scoop. IL caso fu quello dell’ex gelataio, Salvatore Baiardo, ora agli arresti domiciliari, che in un’intervista disse di avere una foto in cui Berlusconi era con dei capi mafiosi. Tutto falso. Lo aveva detto per soldi. Voleva un frammento di protagonismo per un po’, ma per giorni quella notizia ha campeggiato su tutte le prime pagine.
Erano anni, quell’inizio anni Novanta, in cui il timore stragista usciva come monito anche sui giornali. Il livello di intimidazione e di scontro era al massimo. Cento le voci di possibili attacchi. Fu detto e scritto che sarebbe stata attaccata la Torre di Pisa, fu sventato un attacco allo stadio Olimpico, fu effettivamente innescato un esplosivo a San Giorgio al Velabro … Tra verità e finzione erano una miriade gli avvisi e gli allertamenti. Cosa significa oggi, più di trenta anni dopo, accusare il generale ottantacinquenne di non esser stato conseguente a quelle notizie di possibili intimidazioni? Quali ulteriori elementi di verità possono emergere per aggiornare una fase storica?
Quale ambito fattuale possono aver svolto le voci di possibili stragi non effettuate? Sufficiente una voce per far scattare una nuova inquisizione?
La versione definitiva sono gli stessi pentiti di mafia ad averla resa: in quella lotta tra Stato e mafia ci fu un soccombente e furono i mafiosi, per cui si fermò la stagione delle stragi. Ma è un finale che non chiude bene il romanzo e la voglia della continuazione della Serie che però non è televisiva, è reale. Il gusto della narrazione che ha coinvolto la descrizione di puri fenomeni storici ha preso il sopravvento e nell’esigenza di continuare questa narrazione costruisce elementi che con Storia non hanno alcun legame.