Il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge costituzionale in materia di ordinamento giurisdizionale. Una sofferenza irta di contrasti reali nella storia delle Camere le cui origini abbisognano di una ricerca storiografica precisa. Difficile dire chi fu il primo a parlarne. Fu un chiaro obiettivo posto da Silvio Berlusconi che però ereditava un dibattito che già era stato tematizzato prima di lui.
Ma in Italia ogni volta che si è toccato il tema di riformare una parte del funzionamento della magistratura ci è scattato sempre lo psicodramma accompagnato ad accuse di violazione della volontà dei costituenti.
Ora questa volontà è stata messa in discussione scrivendo, finalmente, nero su bianco in questo iter legislativo che sicuramente non avrà vita facile per trovare approvazione, ma sicuramente compie il primo importante passo.
Ha conosciuto giù diverse rettifiche e aggiustamenti di tiro. Altre modifiche saranno sicuramente apportate prima di arrivare a meta. Le cosiddette “leggi ordinarie di attuazione” non si negano a nessuno. Si dovrà giustamente garantire, al mille per mille, che tutto questo non significherà la magistratura inquirente sotto il controllo del governo.
Tre sono i principi fondamentali, ha detto il ministro Nordio. Separazione delle carriere in coerenza alla riforma Vassalli dei primi anni Novanta, quindi le modalità e il sistema elettivo del Consiglio Superiore della Magistratura. Gli ultimi non interessano al cittadino medio. Interessano invece i giochi di scacchi tra poteri nel misurarsi e controllarsi.
Il ministro Nordio si è precipitato da Mattarella perché il testo rimanesse così com’è. Ripensamento e malpancismo fanno parte integrante del nostro parlamentarismo. E la cura Nordio vede solo il pragmatismo delle procedure effettuate per tempo. E con loro la firma del Presidente della repubblica.
E sempre in termini di pragmatismo si cita il famoso motto di Trapattoni: “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”. Trappole e ulteriori lungaggini per ben altre priorità saranno sicuramente dietro l’angolo e così anche le trappole del perfezionare. Ed allora invece dovrà esser rinverdito un antico motto leninista: “meglio presto che meglio”.