L’elettrico si è ridotto a un flop. Si può dire? Produzione a picco. – Non è un lancio del cronista ma sono i dati emessi dalla sede centrale e proposti sul Sole 24 Ore – E tra tante menate inutili di questa campagna elettorale, insieme ai tanti argomenti mancati da puntualizzare, c’è anche la riconversione in tutto il territorio dell’Unione della nuova produzione automobilistica. Il nostro paese, invece, un tempo leader del settore produttivo resta ai margini e arranca davanti l’avanzata di altri asset produttivi. Questo significa a breve aree di disoccupazione che nessuna introduzione di correttivi da parte dello stato sociale potranno mai colmare.
Chi si candida ha dimenticato questo aspetto. Si preannuncia una nuova ondata di emigrazione, accentuando quella intellettuale che già c’è, dei nostri giovani verso gli stati europei del nord. E sarà uno spopolamento delle nostre migliori menti che non andrà a vantaggio del futuro delle nostre città. E gli effetti si vedranno a breve. Di questo le politiche dell’Unione non dovrebbero occuparsi? Eppure nessuno ne ha parlato.
Il settore auto da modello di sistema-italia diventa l’anti-modello della desertificazione di italiani. In una dichiarazione di un rappresentante sindacale riportato dal Sole 24 Ore si legge: “Mirafiori si sta consumando come una candela. Non solo le carrozzerie e l’assemblaggio finale, il cuore dello stabilimento, ma anche gli enti centrali con gli impiegati che non vedono più l’ombra di un progetto, la costruzione stampi o la divisione prototipi. Se non ci sarà presto una vera inversione di tendenza, tutto rischia di spegnersi” …
La cessazione di produzione di motore diesel, benzina e metano deve trovare una dilazione. Se tutto finisce nel 2035 il settore produttivo italiano non ha speranze. E non si tratta di progressismo o di protezionismo. Ma di sussistenza. Nella vecchia Fiat – riporta sempre il quotidiano economico – “dai 25mila dipendenti nel 2001 si è passati agli attuali 11.800 mentre le 218mila auto prodotte nel 2007 sono diventate 85.940 nel 2023”. Si assiste a un incessante decremento che prelude alla fine. Dal 2008 hanno chiuso circa cinquecento aziende dell’indotto. Si sono persi 35mila posti di lavoro nel settore metalmeccanico, di cui il 70% solo nel comparto automotive.
L’investimento in Italia non è incoraggiato. I reparti di ricerca e sviluppo non sono più in Italia. Si pensa e produce altrove. L’idea di esser terziario d’Europa e magari del mondo appare peregrina da parte di chi non può permettersi di esprimere visione, cultura d’impresa, capacità di gestione tale da porsi come centro organizzatore di questo mondo. Ed è del tutto insufficiente a recuperare questo sbalzo di produzione quanto invece incrementato nei nuovi settori produttivi in Abruzzo e Basilicata.
L’attesa sta tutta nel 2026 quando arriveranno le nuove produzioni Stellantis. Ma da qui ad allora il tempo è ancora molto lungo e servirà un governo dall’alto. (…).