Stabilità. Parola ripetuta come un mantra in ogni dove. Consiste nella colonna in grado di dare stabilità all’edificio perché tutto non crolli. Ma a determinare lo tsunami che potrebbe modificare il quadro precedente non sono cambiamenti sociali o politici, bensì finanziari. I paesi reali sostenuti dal debito contratto con grandi gruppi finanziari si vedrebbero in ginocchio se venisse meno il flusso di soldi che paga il loro debito. È un aspetto che non riguarda solo l’Italia. L’Italia ancor di più, ma ciascun paese ha la sua. Quindi è per rassicurare i mercati che i governi, pur cambiando necessariamente (la democrazia è questo), debbono sempre dare idea di stabilità e di affidabilità.
Ed è anche per questo motivo che nei giochi di ingegneria costituzionale in ciascuna realtà statale è diventato veramente impossibile imprimere un cambiamento effettivo. A dare una mano a tanta inamovibilità ci si mette anche la società reale che non vota e rende il gioco dei cambiamenti apparenti controllabile attraverso giochi di incastri tra nomenclature, ciascuna delle quali sottintende gruppi di interesse, ma anche simpatia politica e capacità di creare empatia molto precisi.
Questo è il quadro del gattopardismo del terzo millennio per cui tutto cambia affinché ogni cosa resti come è.
All’interno dell’Unione non riesca a scalfire la nomenclatura formata dal Partito Popolare. E questo perché quella grande coalizione finora al governo nell’Unione ha i numeri (400 seggi) per dirsi ancora maggioranza. Lasciano una maggioranza più forte, pari a 417. Ma si vive lo stesso anche con qualche scranno in meno. Anzi forse si governa meglio perché si invigila a tenere sempre il numero legale e chi voglia fare il battitore libero sa che dall’altra parte c’è la destra vera, quindi poco margine di gioco.
Ma è anche vero che prima i seggi erano 705. Ora sono 720. Quindi con quei numeri si ottiene una percentuale di maggioranza più bassa. Oggi sta al 55,91%. Prima stava al 59,1%. Ma anche in questo caso si campa lo stesso.
A piangere sono i liberali di Renew Europe che da 102 seggi scendono a 79. Popolari e Socialisti fermi ai loro ruoli di maggioranza relativa.
La grande avanzata delle destre che ha conosciuto esaltazione e vituperio, peggio ancora autocritiche postume, in verità non riesce ad incidere nel quadro della possibile nuova maggioranza. Nominalmente nel Parlamento dell’Unione si chiamano: Conservatori-Riformisti e Identità e Democrazia. Insieme sono passati da 118 a 131. Pochi per riuscire a dare le carte.
Potrebbero però essere influenti nell’elezione del presidente di Commissione. Ed è quello che cercherà di fare Giorgia Meloni.