Dopo l’articolo sulla Direzione Nazionale della Democrazia Cristiana svoltasi nei giorni 26 e 27 luglio, il giornale ha registrato nel breve tempo un numero di visualizzazioni in continua crescita senza precedenti e la redazione del quotidiano è stata inondata da numerose telefonate di lettori che hanno chiesto e chiedono di continuare nell’azione di “Rinascimento” della Democrazia cristiana della prima Repubblica, cancellata da un colpo di Stato politico-giudiziario.
Si avverte la sensazione che la maggioranza dei cittadini è fiaccata e delusa da 30 anni di effimero e di pressappoco fatti istituzione, da un declino continuo del livello di istruzione media generalizzata con effetti collaterali per tutto il sistema scolastico ed universitario, da un degrado inarrestabile delle professionalità che costituiscono la struttura della comunità del lavoro e della produzione, da un buco nero perenne delle risorse pubbliche impiegate a moltiplicare enti inutili e assunzioni facili per sviluppare un “burocrastismo” nefasto, dissipatore, che alimenta una concorrenza partitica fonte di corruzione e di conflitti permanenti tra gruppi, formazioni politiche e oligopoli imprenditoriali, che generano un vortice di affari inquietanti in danno della produzione di beni e servizi. Vanificata la coesione sociale; la divisione efficace del lavoro e l’interesse collettivo restano confinati nelle dichiarazioni ufficiali e nelle liturgie di riti pubblici ormai obsoleti. La gente avverte la necessità di un ritorno al passato dove le forze politiche, pur avversarie, hanno unito gli sforzi ed hanno ricostruito l’Italia distrutta dalla seconda guerra mondiale e partorito il miracolo economico italiano. Appare che la gente comune approvi la scelta prospettata nella Direzione Nazionale della DC di realizzare senza ritardo la unificazione delle anime della DC nate dopo la fine traumatica di quella Democrazia Cristiana che nel bene e nel male ha rappresentato lo Stato italiano ed i reduci si sono dispersi alla ricerca di una casa dove continuare a produrre benessere politico. Ma le divisioni hanno impedito l’azione comune e generato forti contrapposizioni. Al momento il tempo si è fatto corto, il pragmatismo deve prevalere.
Sembra sia stata ventilata l’ipotesi di una delegazione rappresentativa o un comitato temporaneo per traghettare il partito fuori dal guado e consentire nei fatti finalmente la unificazione del partito, con le altre formazioni che si sono costituite nel tempo. La proposta non è ufficiale ma la nuova generazione individuata nell’avvocato europeo Vincenzo Di Sirio e dal pragmatico avvocato Cav. Donato Gallina spinge nella direzione di presentare agli elettori il volto umano e pacifico della DC testimoniato nella sua grandezza nell’agire politico del compianto Prof. Aldo Moro assassinato in ragione del fatto che cercava la Pace universale. “Amatevi gli uni con gli altri non c’è altra possibilità”.
Personalmente chi scrive è stato testimone oculare di due colpi di Stato, 1978 e 1992. Tonino Di Pietro ha fatto lo sceriffo per anni, eterodiretto da un gruppetto di magistrati di Milano che hanno deciso di sovvertire lo Stato di diritto. Poi la stampa tutta si è interrogata per un anno se Tonino scendesse in politica, alla fine è caduto nella palude che voleva bonificare. Ha fondato un partito, gli italiani pecore l’hanno pure votato. Poi è stato sufficiente una breve inchiesta della giornalista Milena Gabanelli e Tonino è morto rotolando a terra nel fango dallo stesso prodotto.
Ora il tempo si è fatto corto, dilaga la povertà anche nelle società un tempo opulente (libro di John Kenneth Galbraith 1958), lo iato tra ricchi e poveri si concentra sempre più, le diseguaglianze dominano i territori, generando i conflitti sociali. La fame nel mondo non arretra nonostante la FAO e il PAM.
Più di 2 miliardi di esseri umani o muoiono con cadenza giornaliera o sono sottoalimentati con mutilazioni irreparabili; la conta dei morti è impossibile, le fosse comuni sono la regola. Le guerre dilagano in ogni dove ma l’informazione oscura tutto e offre notizie false sulle sole due guerre all’ordine del giorno commentate dagli amici al bar.
John Kenneth Galbraith, noto anche con lo pseudonimo di Mark Epernay ( Iona Station, 15 ottobre 1908 – Boston, 29 aprile 2006), è stato un economista, funzionario e diplomatico canadese naturalizzato statunitense, fra i più celebri e influenti economisti del suo tempo, nonché critico della teoria capitalista tradizionale.
Negli anni sessanta, Galbraith è stato insieme ad Herbert Marcuse – sul piano più strettamente filosofico e ideologico – uno dei “guru” dei movimenti di contestazione giovanile e dei movimenti pacifisti (essenzialmente statunitensi anti- Vietnam), che dovevano sfociare nel 1968 con le lotte studentesche del maggio parigino e nel resto del mondo.
In particolare, un punto di vista sul quale convergevano il pensiero filosofico di Marcuse e quello economico-sociologico di Galbraith, era il fatto che l’uomo sociale, il cittadino, fosse stato ridotto, dalla volontà delle grandi corporation supportate dalle nuove (per gli anni sessanta) aggressive metodologie di marketing, ad un “consumatore“, ovvero a un soggetto che ha una sua esistenza, e, in definitiva, una sua dignità, solo in quanto capace di consumare beni e servizi, e nella misura in cui ottempera a questa sua unica e imprescindibile funzione. Occorre ricordare che è del 1957 il primo riuscito esperimento di pubblicità subliminale, ed è del 1958 il famoso libro “I persuasori occulti” di Vance Packard. Non hanno dunque importanza le aspirazioni, le necessità, i sogni di un qualunque essere umano, ma hanno solo importanza i suoi ‘bisogni’, che generano la funzione primaria ed unica del consumo. Per cui, stante l’importanza della definizione degli stessi bisogni da parte del sistema economico, la modellazione di questi bisogni non può essere lasciata al caso, ma deve diventare la principale funzione del sistema economico, impersonato dalle grandi aziende che lo dominano; cosa si produce è, in questo scenario, secondario, in quanto non è più necessario produrre ciò che serve, in quanto ciò che serve è definito a monte, ed in maniera precisa, da una ristretta cerchia di soggetti economici che definiscono i bisogni in funzione delle proprie esigenze, e non di quelle dei cittadini, ridotti al rango di meri consumatori.
Marcuse esprime questo concetto in quella che possiamo definire la sua opera principale, e certamente la più nota, “L’uomo ad una dimensione”, quella del consumo, appunto, in cui analizza il tema dei ‘bisogni’ di un essere umano, e di come ‘il sistema capitalistico’ controlli tali bisogni ed i meccanismi della loro definizione e creazione.
Galbraith esprime il concetto speculare nella “Società opulenta“, in cui invece descrive perché, a suo modo di vedere, il sistema economico, rappresentato in primis dalle grandi corporation, ha necessità, per i suoi fini intrinseci, di controllare i bisogni del singolo e della collettività, in modo assoluto, senza poter lasciare al caso e alla spontanea evoluzione umana la definizione di tali bisogni.
La società opulenta. In questo libro Galbraith esprime la tesi secondo cui l’evoluzione della società e dell’economia va verso una direzione in cui ciò che conta sono soprattutto, se non soltanto, i livelli dei consumi che i consumatori, appunto, esprimono, tanto che, da quegli anni in poi, i cittadini non vengono quasi più considerati persone portatrici di idee e valori, ma solo “consumatori“, esplicitando, in tal modo, il fatto che a livello sociale si conta solo in funzione del proprio livello di consumi.
Il nuovo Stato industriale. Questo libro, pubblicato in America nel 1968, in piena contestazione giovanile, è di dieci anni successivo alla “Società opulenta”; si può dire che rappresenta l’opera più importante di Galbraith, e quella che abbraccia a 360 gradi le principali tematiche economiche e sociologiche, con quell’approccio misto di economia e sociologia tipico di tutto il pensiero di Galbraith. L’idea centrale de “Il nuovo Stato Industriale” è piuttosto semplice, e sembra persino di per sé evidente, oggi, ma all’epoca non mancò di suscitare rumore ed accese polemiche: Galbraith parte dalla considerazione che, mentre una volta lo scenario economico era dominato dall’imprenditore, figura centrale del progresso e incarnazione stessa della “mano invisibile” di Adam Smith (su questo, l’accordo era pressoché totale, perché anche Karl Marx partiva da questa concezione, anche se con intenti contrari a quelli celebrativi di Smith), al giorno d’oggi (inteso come l’oggi in cui Galbraith scrive e pubblica il libro, cioè gli anni 1960), semplicemente, i processi aziendali sono diventati talmente complessi che è impensabile che una sola persona sia in grado di detenere le conoscenze necessarie a guidare ed indirizzare l’intero processo produttivo, o meglio l’intero processo che va dall’intuizione di un nuovo prodotto/servizio che potrebbe interessare il “consumatore” all’avere pronto il prodotto/servizio presso il consumatore che lo può così acquistare, che è ben più complicato del solo processo produttivo.
Gli esecutori dell’assassinio di Aldo Moro sono state le BR, ma l’ordine è venuto dagli USA e dalla NATO. C’è voglia di Democrazia Cristiana e forse di socialismo, ma le leadership devono essere di alto profilo e di grande carisma, la gente avverte che la rete del potere, non solo italiana, rappresentata dalle posizioni gerarchiche ha finito la corsa, la realtà impone il Rinascimento.
Carlo Priolo, giornalista professionista, sociologo, storico