Premierato elettivo, autonomia differenziata e riforma della magistratura. Il trittico riformatore del governo si basa su queste colonne. Ne cade uno, cade l’intera struttura. Patti chiari ad inizio stagione politica del centrodestra all’esecutivo.
Ma ora ad avere problemi è l’Autonomia differenziata che pure ha avuto approvazione in tutti i rami del Parlamento. Ma l’Italia è uno strano paese. Cercano di spiegarlo da fuori ma i soggetti studiati da tanti analisti riescono sempre a smentirsi e smentirli.
Sì, perché le obiezioni forti non arrivano solo dall’opposizione bensì anche dal Sud d’Italia che subodora la fregatura e una agibilità vera di governo e programma ancor più limitata. Tanto che l’alleanza referendaria di chi vuole abolire la neonata legge sull’autonomia differenziata pare espandersi. E i referendum tesi a confermare o a cancellare una legge storicamente tendono sempre alla seconda soluzione (2006, Berlusconi, 2016 Renzi).
Ma è anche vero che nel 2020 il settanta per cento degli italiani volle il taglio dei parlamentari. C’è bisogno di una chiave di lettura demagogica per scardinare il sistema grazie ad un referendum. Ed è per questo che quello sull’ “autonomia differenziata” non promette bene per i sostenitori della legge.
Ma fare dell’autonomia differenziata la madre di tutte le guerre è veramente grottesco. C’è da dire che in un sistema come il nostro, dove proprio il decentramento regionale non ha funzionato producendo nuove imperdonabili emorragie, fermarsi sul come gli enti regione possono promuovere la loro potenziale capacità di autodeterminarsi. chiedendo finanziamenti e spazi di intervento maggiori, appare suicida.
Non è vero che l’autonomia differenziata rappresenterebbe l’inizio di una secessione. Non ci saranno più soldi per gli enti regioni che aderiranno all’autonomia differenziata. Diverso il discorso sui sistemi di calcolo in ogni realtà decentrata. Ma quello è un discorso assai più complesso che non può essere ridotto al sì o al no del referendum.
Con questa legge gli enti regione non potranno emettere nuovi tributi, né abbassare gli attuali livelli impositivi. Si freni ogni fantasia! Semmai ci potrà essere la compartecipazione al gettito. In tal senso la possibilità di amministrare le risorse in base ad effettive dimostrate necessità. Ma anche la gestione rigorosa non sarà premiata con la possibilità di trattenere risorse. Tutto tornerà alla centralità dello Stato. Il cuore pulsante di Roma non è minimamente messo in discussione. Ad esempio: è una realtà conclamata il fatto che nel nostro paese esista l’emigrazione sanitaria che non può essere solamente compensata con il riconoscimento di spesa da parte di un’azienda sanitaria del Sud nei confronti di quella del Nord dove si effettua la prestazione per la cura della salute. La maggiore implementazione di assistenza medica deve comunque esser riconosciuta nei luoghi dove avviene. Ed è la Sanità in effetti il centrale argomento del contendere. Ma difficile ridurre il tutto in un dibattito referendario.
Sarà aggravato anche da altri argomenti. Potranno tutt’al più essere intaccate prerogative centrali come quella dei servizi pubblici, l’istruzione, la tutela dell’ambiente. Viene da rispondere: ma peggio di così non può andare, facciamo provare cosa sanno fare le regioni!
Detto questo, chi attacca il governo, su questo tema, sembra sostenere che l’autonomia rischi di “scassare” modalità di erogazione dei servizi pubblici attualmente ineccepibili. Fa sorridere anche solo l’idea che sia l’autonomia a mettere a repentaglio, per esempio, l’istruzione. La qualità dei servizi pubblici erogati dallo Stato centrale è quella che è. Tanto peggio le Regioni non potranno fare.