Tutti nel timore dell’escalation e invece, quasi segretamente, procedono colloqui a Doha per vedere quali possano essere le condizioni per porre fine al conflitto. D’altra parte c’è la chiara consapevolezza che continuare su questa china per ciascuno potrebbe segnare la palingenesi descritta in ogni testo sacro. Proprio quelli per cui ciascuna delle parti si sente soldato con un mandato più alto di quello dei semplici confini territoriali.
Israele vuole il rilascio dei prigionieri in ostaggio. Hamas chiede il ritiro delle truppe dalla Striscia. A cercare di tenere in piedi la realizzazione di questa ipotesi sono il capo della Cia Bill Burns, Abbas Kamel – ministro egiziano. E poi anche il Primo ministro del Qatar al Thani. Con loro la rappresentanza del governo in carica di Israele.
E a trecentoquattordici giorni dall’inizio del conflitto la questione sospesa consiste anche nella gestione del corridoio Filadelfia tra Gaza ed Egitto.
Grande assente ma in qualche modo presente è Sami Abu Zahari, per parte di Hamas. Non si capisce con quale incarico e con quanta forza decisionale. Gli accordi con lui potrebbero essere disconosciuti dal resto dell’organizzazione?
La metodica parte da un testo già scritto. Sono le condizioni di pace e gli impegni per le parti. Letto e commentato come base di discussione ed eventuali emendamenti a sostegno di alcuni punti ritenuti chiave. In tutto questo appare complicato avere da Hamas una versione veridica di sostanziale approvazione della bozza. Troppi i grandi assenti dichiarati però presenti a distanza. Si sa che vogliono il ritiro completo di Israele da Gaza ma si sa altrettanto bene che questa è considerata una condizione inaccettabile perché avere presenze in quell’area consente agli israeliani di controllare eventuali evoluzioni e proteggere a mo’ di avamposto i propri confini.
E l’Iran sta a guardare. Sono settimane che si teme un attacco. Farlo in piena trattativa sarebbe un contraccolpo pazzesco ma è anche vero che in qualche modo anche gli iraniani debbono essere garantiti, oltre che soddisfatti nella volontà di riscatto. Altro assente, o presente a distanza, è la persona fisica di Bibi Netanyahu. L’ultima parola è la sua e sempre lui era apparso irremovibile nel perseguire la guerra. Deve convincersi a più miti consigli. Ma è del tutto da vedere se i soggetti trattanti riusciranno in questa impresa.
A convincerlo potrà essere la manifestazione permanente dei familiari a Tel Aviv che chiedono il loro rilascio, quindi firmare gli accordi di pace per farli tornare a ogni condizione.
Ma sopra a tutti si conteggiano i morti. L’esercito israeliano dichiara di aver fatto fuori diciassettemila terroristi. La parte araba dichiara quarantamila morti. Un giro di sofferenza che deve bastare per chiudere questo round senza vincitori né vinti.