Lo ha detto ieri Francesco Rutelli. Un uomo, di fatto, uscito dalla politica attiva, anche se riferimento di incarichi di grande responsabilità sempre riferiti alla politica. Non è configurabile nettamente né come governo né come opposizione.
C’è stato bisogno di una persona come lui per porre il punto nodale di questi tempi. Lo ha fatto a Venezia alla quinta edizione del Soft power club. Sono intervenuti altri esponenti filo governativi (Antonio Tajani) e filo opposizione (Paolo Gentiloni). Nessuno con la chiarezza distintiva del vecchio animale politico quale è Francesco Rutelli.
La questione tocca un nodo fondamentale di questi tempi perché la convivenza con tecnologie stimolate dai risultati dell’intelligenza artificiale si possono costruire false prove testimoniali di fatti e cose inesistenti o mai accadute. L’allarme è alto e tocca i gangli vitali del nostro sistema di vita, quindi della democrazia come dimensione nella quale possiamo maturare nostri convincimenti determinati da personali considerazioni sulla realtà effettuale. Se questa realtà è alterata nei prioritari segni distintivi della prima conoscenza questo circuito virtuoso viene invertito.
Se c’è ancora bisogno di sostenerlo, è l’ennesima prova di quanto la democrazia si sostenga sulla libertà, quindi sulla capacità di muovere attraverso giudizi e considerazioni ispirate da effettivi stati di cose, non dalla loro architettata modificazione fattuale.
È chiaro che in questo ambito l’informazione libera ha una grande responsabilità. E in questo ambito ritagliare una dimensione di informazione autorevole, nella quale possono apparire opinioni discordanti ma mai destituite dal crisma dell’aderenza alla verifica su dati effettuali.
Si tratta di un lavoro attento e meticoloso affidato agli operatori dell’informazione che però restano la categoria più negletta dell’impalcatura sulla quale si regge la menzionata democrazia. Tutti si dicono solerti nel volerla difendere in tutto e per tutto, ma poi sfuggono i passaggi fondamentali attraverso i quali il diritto a pensare e fare nel contesto sociale dato è possibile solo se sussistono informazioni certe e certificate, non architetture create da intenti polemici e distruttivi.
La soluzione sarebbe dietro l’angolo. Dare sostegno sostanziale alle voci che informano liberamente e in modo corretto. E invece si finisce sulla chiacchiera della requisitoria contro i Social e la produzione di documenti di testimonianza falsi.
Se non si vede il problema è segno che si vuole perseverare nell’errore.