A due mesi dalle votazioni, coi due candidati sostanzialmente allineati (è vero che Harris ha un vantaggio di misura ma sono dati legati all’alea di incertezza delle previsioni e delle variabili che succedono in campagna elettorale), si aprono i bookmakers per accettare le scommesse. E mai omologia lessicale fu più opportuna perché “bookmaker” che sta per allibratore, colui che accetta le scommesse, si traduce letteralmente con colui che fa il libro. Solo per dire del vincitore tra i due, proiettato a fare la Storia dei prossimi anni.
Il duello è paradigmatico dei due volti dell’America. Forse mai come oggi i due candidati rappresentano gli antipodi nei quali si rispecchiano i due volti degli Stati Uniti. Da una parte progressisti, liberali di sinistra, tesi alle ragioni degli oppressi ma anche centrati sul valore universalistico rappresentato dal loro paese verso il mondo, con pretesa di indicazione e supporto. Dall’altra parte il volto del neoliberismo che parla una lingua nuova. Rinuncia alla pretesa di controllare tutto e tutti, stabilisce però con ogni paese dei legami diretti in cui è però il proprio paese a stabilire i rapporti di forza. Assai poco inclusivo coi nuovi arrivati, difende il territorio come il mercato interno per difendere la sostenibilità del proprio debito. Si disimpegna da ogni accordo di sostegno militare nel mondo perché in tema di libertà l’America ha dato fin troppo nella Storia.
E mai come stavolta, non sono solo gli americani a propendere per un modello o per l’altro. Queste elezioni coinvolgono tutti noi. Nessuno si senta escluso.
Come tanti altri paesi occidentali debbono regolare il rapporto con la magistratura. Kamala Harris è solidissima con i procuratori, Donald Trump ha diversi problemi con la giustizia: sotto giudizio in una democrazia seria ci si chiede come possa candidarsi. Ma questo agli americani non interessa.
Diverso, invece, pensare alle proiezioni sulla materia fiscale e finanziaria impressa da uno dei due candidati una volta eletto alla Casa Bianca.
Harris dovrebbe riuscire a tenere maggiormente stabile il dollaro. Con Donald Trump la stabilità smette di essere un obiettivo ma insieme si aprono le maglie per l’ingresso di capitali in grado di innervare il tessuto connettivo delle finanze del paese.
Con Donald Trump diminuiranno le tasse – così come ha già fatto nella precedente investitura. Kamala Harris capisce di essere debole su questo versante e l’unica cosa che può dire è di non rivedere i parametri aggiornati dal suo predecessore.
Ma è sul debito pubblico che bisogno operare. Anche negli Stati Uniti questo standard non è più sostenibile. Dovrà essere riveduto e corretto senza che gli americani se ne accorgano troppo e ne soffrano. Questo dovrebbe essere argomento centrale e spinoso, ma abilmente messo in subordine dai due.
Ne deriva che al di là della radicalizzazione e delle evidenti distanze tra i due, chiunque dovesse vincere il cittadino medio degli Stati Uniti non se ne accorgerà gran che. Se ne potrebbe accorgere invece il resto del mondo in virtù del diverso peso e impegno nei conflitti che gli Stati Uniti intendono riversare. Ma anche qui: è tutto da dimostrare che la smobilitazione degli eserciti e dei mezzi militari nelle aree di scontro determini la fine dei conflitti e non ne apra invece altri.