Il nome in codice del caso esprime già un giudizio: Sangiuliano boccia. O forse sarebbe meglio dire, bocciato. Ma l’importante è che si capisca. Cosa più importante sarebbe vedere il grado di interesse dei lettori alla questione riproposta da giorni su tutti i notiziari e di cui noi stessi non possiamo fare a meno di menzionare per dovere di cronaca.
IL vero caso inizia quando la donna mette su Instagram in cui ringrazia il ministro della Cultura per averla nominata Consigliere del Ministro per i Grandi Eventi. La nomina è stata subito smentita però è anche vero che l’imprenditrice di Pompei da mesi affiancava il ministro in occasioni pubbliche. Ed era sempre Maria Rosaria Boccia che viene ripresa da Dagospia e la stessa imprenditrice a pubblicarsi su Instagram nell’agosto di un anno fa. Quindi c’era sicuramente un legame iniziato da tempo e non si tratta di un contatto puramente occasionale.
Sangiuliano garantisce a Giorgia Meloni che non è stata compensata per le sue presenze. Sempre la Meloni: “mi ha garantito che questa persona non ha avuto accesso a nessun documento riservato del G7 e che neanche un euro degli italiani è stato speso per lei”.
Di qui le diverse attestazioni tra i due che evidenziano una diversa veduta sull’impegno dell’uno sull’altro. Sangiuliano la ritiene una semplice accompagnatrice e consulente verbale, Maria Rosaria Boccia si sente totalmente calata nel ruolo e lo rivendica fieramente infischiandosene di smentire pubblicamente il suo anfitrione.
Una vicenda con tratti di tristezza che evidenziano l’inadeguatezza rispettiva nei ruoli da interpretare come parti in commedia. Ma chiunque abbia voglia di leggere una storia di incomprensione e di ammirazione non ripagata si rivolge a un genere di narrativa assai diversa dall’attualità politica. Non si capisce perché debba interessare tanto agli italiani. Hanno tutti sicuramente il diritto di sapere se è stato fatto un contratto di consulenza e quanto è stato pagato, in relazione a quale insostituibile apporto al lavoro di un’amministrazione pubblica. Ma i contorni imbarazzanti fino alla burletta debbono lasciare il posto a ben altre questioni di maggiore rilevanza.
Il fatto però induce una riflessione extra-fattuale. Ci conferma una considerazione che fu di Hannah Arendt per cui il luogo della politica è il luogo della menzogna (cit. La menzonga in politica). A prescindere da qualsiasi appartenenza o di qualsiasi altra questione trattata. Il soggetto politico mente perché la stessa materia del suo intendimento è distaccata dal piano del reale per riguardare costantemente l’ipotetico – nelle migliori intenzioni – ma soprattutto quanto l’elettore si aspetta di ascoltare. Ma questo vale per le grandi questioni. Hannah Arendt partiva da riflessioni su Pentagon Papers- la grande questione che poi produsse lo scandalo Watergate.
Qui di cosa stiamo parlando esattamente ancora non lo abbiamo capito e forse è meglio non capirlo.