1.531. È il numero delle persone “dossierate” secondo l’inchiesta della procura perugina di Raffaele Cantone per cui sono stati richiesti gli arresti ai due principali accusati. Ai giudici del riesame la decisione perché la prima richiesta è stata già rigettata dal gip.
Ma non si tratta di cittadini semplicemente sospetti. Si tratta di dossier richiesti a comando su personalità politiche, di impresa e altre personalità dello sport e dello spettacolo.
Il caso è clamoroso ma tanto più clamoroso è che non ci siano prime pagine dedicate a questo nuovo filone di procedimenti portato avanti da un maestro inattaccabile delle inchieste giudiziarie: Raffaele Cantone.
Vien da dire che è uno scandalo che non si gridi allo scandalo in ogni dove. Ma poi si profila una risposta. I beneficiari di certe inchieste erano giornalisti molto in vista pronti a pubblicare particolari della vita privata dei personaggi in questione. Il problema è che i personaggi in questione non erano indagati, non erano sottoposti a giudizio. Su di loro venivano effettuate ricerche relative ai loro movimenti privati nella evidente speranza di scoprire degli altarini.
Un caso esemplare e visibile fu la fuga di notizie relative alla presunta incompatibilità di Guido Crosetto ad essere ministro della Difesa essendo lui commercialmente impegnato nella produzione e vendita di armi.
Questo significa l’esistenza di una realtà consolidata per cui si getta la lente d’ingrandimento, a comando, nei confronti di persone che non sono sospettati di nulla. Solo nel tentativo di cogliere qualche irregolarità di conduzione nella vita personale ed elevare l’informazione a notizia da pubblicare sui giornali oppure come arma di ricatto oppure come strumento di intermediazione.
Un uso illecito di informazioni riservate prestate al fine di essere utilizzate come arma di confronto. Del tipo: “guarda che io so di te che tu … Se continui ad avanzare le tue pretese passo la notizia a chi di dovere”.
Il gioco dei ricatti e delle intimidazioni segrete come strumento di lotta politica. Se questo è vero è colpa grave. Ma, cosa più importante, al di là delle responsabilità personali e dei mandanti, denota qual è il metodo e il funzionamento della dialettica politica in Italia.
Un continuo gioco di scherma sulle proprie informazioni e di attacco all’avversario in base a quel che so di lui. E fa tanto più impressione che al profilare di questa inchiesta giudiziaria davanti a tanto di procuratore che la richiede, non c’è nessuno dall’opposizione a chiedere di fare chiarezza o non la prenda come propria battaglia. Tutto normale? In questo circo in cui si è spiati e se possibile si spia sono tutti coinvolti?
Cosa deve succedere affinché chiunque abbia a cuore il senso delle civiche responsabilità e dei diritti alla riservatezza di ognuno sia allarmato da questa pratica diffusa?
Si dirà: “aspettiamo che la giustizia ordinaria faccia il suo corso”. Ma già sta facendo il suo corso con la richiesta formulata da Raffaele Cantone. Attendere la conclusione di un processo perché si dilegui nelle pastoie e nel ciriolare su questioni di procedura?
Il diritto dei cittadini a sapere fonda il pilatro di qualsiasi libertà. La stessa libertà di azione che si vuole mortificare col ricatto di mettere in evidenza notizie riservate.