Continua ad esserci una forte discrepanza nella narrativa su questa guerra iniziata il 7 ottobre 2023 e gli effettivi accadimenti. Non si tratta solo di svista totale dei commentatori accreditati come esperti di quello scenario conflittuale. Ma è proprio la direzione intrapresa da questo conflitto a sfuggire totalmente dalla capacità di ricezione dell’Occidente.
Comunque la si pensi, Israele è innegabile stia assumendo una responsabilità strategica per l’Occidente nell’opera di arginare l’avanzata di un mondo islamico che per usi e consuetudini di vita ci riporta nell’angolo più remoto della Storia dell’umanità. Non solo la pretesa tecnologica unita all’avanzata militare di alcune realtà dell’Islam porta a una condizione di forte imbarazzo da parte di chi persegue affari con quelle economie oligarchiche pronte però a confliggere col nostro mondo. Tutti sanno, in verità, che Israele sta facendo una guerra per tutto l’Occidente democratico.
Si sa ma non si può dire. Scarsi livelli di comprensione anche quando si tratta di recepire le dinamiche in essere di questa stagione bellicistica. Tutti ritenevano Netanyahu agli sgoccioli della sua carriera politica. Oggi lo attestiamo come il premier più longevo della storia di Israele.
Tutti (i commentatori esperti, si intende) accreditavano finita la sua fase dopo l’attacco militare del 7 ottobre e grave la disattenzione osservata dal suo governo nel controllo di quanto faceva il nemico. E invece quell’aggressione militare ha rafforzato il premier. Si parla di manifestazioni continue il sabato contro di lui ma il popolo israeliano ha mostrato grande prova di compattezza durante l’attacco missilistico di ieri l’altro.
Pare invece che nella resistenza a non cedere al ricatto degli ostaggi e nella pervicace volontà di rendere pan per focaccia ai suoi aggressori rappresenti la quintessenza del suo popolo.
(Qui non si vuole dare nessun giudizio apologetico. Qui si intende semplicemente comprendere nel profondo il senso di questo solco storico).
In tal senso va letta la sortita del premier israeliano il 27 settembre all’Onu dove se la prende con il mondo che invece dovrebbe chiamare per tendergli una mano. Netanyahu, che tra i suoi difetti annovera sicuramente anche la diplomazia, non si fa scrupolo a chiamarli ipocriti. Tutti sanno che la guerra che lui sta combattendo è anche un po’ la loro. Qui il principio è la non accettazione di un popolo confinante aggressore e di una guerra per procura mandata da un paese per combattere il suo nemico senza apparire.
Modalità e ragioni di questo conflitto insistono tutte in queste contraddizioni e prima di organizzare le curve di tifo per un contraente del conflitto o per l’altro si dovrebbe capire quali metodiche adottare per spegnerlo. Anche perché noi europei, noi Occidente, non siamo quelli con i pop corn davanti a un teatro per il quale non possono fare nulla. Debbono fare molto, invece, e al di là degli aiuti umanitari.
Ricordando sempre nostre responsabilità e che, come in Ucraina, quel conflitto è anche un po’ nostro. Questo non significa assolutamente prenderci parte. Ma concorrere invece a disinnescare l’innesto micidiale che lo rigenera.