Tutti sanno che oramai il canone Rai è conteggiato attraverso l’addebito sulle fatture relative al servizio di fornitura energia elettrica e sono conteggiate in dieci rate. Ogni mese, quindi, da gennaio a ottobre di ogni anno.
Passa inosservato ma invece ha un costo reale e ammonta a settanta euro. Lo stormir di fronde ventila però l’ipotesi che possa aumentare e tra le interrogazioni al ministro dell’economia Giorgetti si vuole scongiurare proprio questa ipotesi.
Ed è la stessa maggioranza a temere che surrettiziamente venga fatto il ritocchino sui costi reali per l’utenza dell’emittente pubblica. È la Lega ad insistere affinché sia confermata anche nel 2025 il taglio da 90 a 70 euro. Lo fa attraverso l’emendamento al dl Fisco. Si tratta però di uno dei centottanta argomenti segnalati dai partiti. Saranno esaminati in Senato e c’è da temere il criterio con cui potranno essere presi in considerazione minuziosamente.
Tutto da risolvere però il problema su quale senso possa ancora avere una mega emittente di Stato davanti il pullulare di emittenti verso le quali si sposta l’attenzione media dei teleutenti. Ci si chiede se non sia il caso che questa mega struttura non metta sul mercato alcuni dei suoi bastioni per alleggerire le spese ed arrivare a un canone zero per i consumatori che si vedono aggravata la bolletta dell’utenza elettrica. Tutto questo anche senza esser salvi da pubblicità.
Ed è un ragionamento che dovrebbe esser condotto in chiave di economia, ancorché di garanzia delle libertà o dei posti di lavoro attualmente assicurati nella mega emittente di Stato. Ancor prima di discutere quale sia il reale servizio per l’informazione pubblica e quale sia l’apporto dato alla cultura in senso popolare così come sotto l’aspetto più selezionato di utenza, si dovrebbe capire se la messa sul mercato di gran parte delle sue emittenti possa alleggerire i costi dello Stato. In definitiva avere la Rai non vale niente anche dal punto di vista del governo in carica. La Storia di questi trenta anni ci ha dimostrato come nonostante le emittenti private e il controllo della Rai, Silvio Berlusconi abbia conosciuto rovesci di fortuna ed a poco sia servito avere le televisioni (e tra queste anche quella di Stato) dalla sua.
Servono allora a qualcosa tre emittenti, più Rai Storia, Rai Movie, Rai Play, Rai 5 e compagnia cantando? Non sarebbe sufficiente un solo servizio pluralista e in grado di garantire il dibattito sempre con trasmissione di opere dal valore storico culturale o di evasione indiscutibile? E invece bisogna garantire il palazzone per dare l’illusione della differenziazione dell’offerta culturale. Ma questa è già garantita dal mercato che consiste in un sestante ineliminabile per i prodotti di largo consumo. Nell’ambito della cultura e della divulgazione ci sarebbe la Rai a garantire, senza l’ossessione di inseguire competizioni con altre emittenti. E senza costare così tanto agli utenti.
Si insiste: ma questo è un problema di economia che dovrebbe essere Giorgetti a risolvere. L’ignavia del politicamente corretto non ci aiuterà mai.