Il Papa prima emette un giudizio poi chiede sia confermato sul piano empirico. Si tratta di una vera rivoluzione sul piano teologico perché consiste rilevare una verità tra le cose terrene e poi chiederne l’avallo concettuale attraverso analisi dei fatti.
La rivoluzione del metodo sta nel suo ultimo libro di cui tutti i giornali si sono prodigati a dare anticipazioni. Il Papa chiede di indagare per capire se il conflitto in atto in Medio Oriente abbia le caratteristiche del genocidio.
Ma è chiaro a tutti come questa espressione si sostanzi in un giudizio che come tale non può e non deve essere dimostrato. Si tratta di una visione unilaterale delle pesantissime questioni in atto in grado di evincere l’elemento meno gradito a una parte dei contendenti.
Di qui la questione sarebbe complicata da affrontare o risolvere. Sta di fatto che mentre a Gaza si continua a sparare e vengono perpetrate morti per mano militare risulta quantomeno ozioso stabilire se si tratti di uso adeguato di un’espressione giudicante o meno. Le autorità internazionali debbono intervenire per far cessare quel conflitto. Le questioni relative alla sua più esatta definizione nominale dovrebbero essere affidate ai linguisti. Inutile stabilire – sia concessa questa obiezione – sulla natura del conflitto, se si debba “inquadrare nella definizione formulata da giuristi e organismi internazionali”.
E chi sarebbero poi queste grandi autorità a cui l’autorità massima fa riferimento? Un autogol che non avremmo voluto leggere ma in definitiva è proprio questo a cui è ridotto il nulla eterno di cui consta il panorama geopolitico di cui si dota la nostra epoca.
Nessuna pretesa di difendere una parte piuttosto di un’altra. È facile condannare gli “attacchi disumani” ma sono il gravame portato in ogni guerra e l’intervento politico accettabile consiste nel lavorare con profitto a ché questa guerra abbia fine. Altro intervento a mezzo solo di parole non dovrebbe essere nemmeno considerato.
E chiaramente il peso di tanto dolore viene condiviso col mondo dei fedeli che sta in ascolto e ben poco o nulla può fare affinché il conflitto abbia fine.
Ci sta bene quindi anche la denuncia sul “colonialismo economico” teso a sfruttare le risorse di quelle terre. Ma è anche vero che se quelle terre vogliono avere una crescita possono averla solo attraverso l’ingresso di super potenze, prevalentemente la Cina, che riescono a dare in pochi anni una crescita improponibile a quelle terre. L’alternativa per loro potrebbe essere solo l’emigrazione nelle nostre e questo con tutta la solidarietà del mondo consiste in una formula che l’Occidente non riesce più a drenare. Al netto della nuova retorica per cui il nostro mondo ha bisogno dell’ingresso di queste persone per il bisogno di manodopera – e in questo caso non si tratta più di solidarietà ma di nuovo sfruttamento solo “fatto in casa”.
L’invito al mondo dei fedeli non è mai al fare, ad agire. Bensì a “riflettere”. L’elemento su cui riflettere guarda al nuovo colonialismo mentre invece bisogna accogliere. (Ipse dixit).
È sicuramente questa una condizione in grado di tutelarci dalla possibilità di sbagliare nell’azione. Ma l’errore può stare anche nel giudizio. Anzi, la rivoluzione del cristianesimo ci insegna proprio questo che è il giudizio stesso un errore.