Ma siamo sicuri che questa scadenza elettorale delle regionali umbre ed emiliane abbia visto la vittoria della sinistra? Per un certo senso è ovvio. Scontato. Superfluo ribadirlo. Hanno vinto le liste di sinistra capitanate dal PD avverso la compagine di centrodestra. E su questo non c’è discussione.
Ma come si caratterizza il tratto di sinistra di un’amministrazione territoriale come quella di un ente regione? Cosa vogliono i cittadini di sinistra che votano la propria compagine dagli amministratori eletti? Decoro urbano, ambiente risanato, bilanci a posto, recupero delle aree in degrado, aiuto al rilancio dell’impresa locale … E in cosa differisce da quel che vogliono gli elettori di centrodestra?
Si intende qui che nell’ambito amministrativo si ripetono dei cliché in uso nella dialettica politica comune ma, in definitiva, si inseguono dei modelli premiali che riguardano il proprio asse di riferimento. Le amministrazioni locali nella storia italiana furono il primo grande passaggio di quella che sarebbe dovuta essere la transizione al socialismo determinata da quel che fu il Partito Comunista. Già successivamente al secondo dopoguerra in diverse realtà italiane si affermavano sindaci di sinistra davanti a un paese monocolore e che monocolore sarebbe stato per conventio ad excludendum e perché qualsiasi transizione sarebbe stata interpretata come una cessione all’altro blocco. Storie di altri tempi, si dirà. E così è.
I riformisti di quegli anni Sessanta e Settanta che avevano il vezzo di trovarsi nella compagine del Partito Comunista Italiano disperando di poter mai governare l’Italia si concentravano su alcuni territori. Tra questi quello dell’Emilia Romagna, l’Umbria e la Liguria furono quelli più tradizionalmente inclini alla dimostrazione sul piano locale di buon governo. Si effondevano le migliori energie e cresceva in tal senso la cultura cooperativistica. L’effetto era quello di convincere sempre più persone che i comunisti non erano quelli che mangiavano i bambini e cresceva anche a livello nazionale la fiducia verso questa parte politica.
Sono intervenuti tanti fatti e tanti fattori in questi sessanta anni di storia delle amministrazioni locali.
Ma non può esser cambiato e non è cambiato il valore puramente territoriale di una preferenza. In questa preferenza si vota un modello e una fiducia di efficienza e pragmatismo. Non si vota per la socializzazione dei mezzi di produzione né per il salario minimo, tantomeno per la tolleranza verso l’immigrazione o per le differenze nella gestione della propria sessualità o tante altre cose inerenti i diritti.
Si ripete: si vogliono strade pulite, scuole efficienti, verde pubblico, gestione dei rifiuti solidi urbani … E queste prospettive non sono né di destra né di sinistra.
Ad osservare l’integralismo e l’orgoglio di appartenenza territoriale i vincitori appaiono più di destra che di sinistra. “Viva l’Umbria che è tornata in mano agli umbri” – ha detto la neo-presidente della Regione, Stefania Proietti. “Da questa campagna elettorale deve finire la speculazione politica e deve iniziare una nuova collaborazione istituzionale per l’Emilia-Romagna. Io spero, già nei prossimi giorni di poter incontrare la presidente del consiglio e su questo poter segnare un cambio un cambio di passo” – ha detto il neo presidente della regione Emilia Romagna Michele de Pascale. Entrambi non sventolano ideologia, antifascismo, ugualitarismo … Vogliono fare dei loro territori dei luoghi a misura dei cittadini. Giustamente a loro non interessa chi c’è a Palazzo Chigi. Sono disposti a parlare con chi governa per migliorare le condizioni oggettive delle rispettive regioni.
Ha poco da “alzare la testa” come ha detto Elly Schlein- espressione sbagliata perché implica che prima tenesse la testa abbassata in modo servile. I vincitori dimostrano come l’unica parola chiave da spendere nella loro attività deve guardare ai risultati concreti. Ed è una lezione che anche in sede nazionale si dovrebbe apprendere.