Alle quattro del mattino del 27 novembre è entrata in vigore la tregua tra Israele ed Hezbollah. Si tratta di un cessate il fuoco che deve essere foriero di nuove aperture e accettazione delle vicendevoli disponibilità. Come abbiamo sempre detto in queste stipule di contratti tra due contendenti precedentemente belligeranti, è fondamentale la presenza di un terzo come garante. Questo terzo è stato rappresentato dagli Stati Uniti e dalla Francia.
Si prevede un periodo di sessanta giorni di pausa. Da parte libanese l’esercito riprenderà il controllo del territorio. Non sarà ancora concessa la realizzazione di infrastrutture militari di Hezbollah. Da parte israeliana invece ci sarà un ritiro graduale dell’esercito. Si tratta di una prima fase di sospensione prima di ricominciare a costruire case e infrastrutture.
L’esercitazione dialettica ora è quella per cui queste condizioni possano essere estese al resto dei contendenti in una situazione che dia ad entrambi i contraenti le reciproche garanzie. Ma se è facile dire questo è ancora quasi impossibile pronunciare il nome di Hamas con la pretesa di ricongiungere un percorso di pacificazione essendo l’organizzazione militare nata con lo scopo della distruzione di Israele.
Ma il problema di Israele resta l’Iran. IL secondo problema consiste nell’isolamento quindi la resa di Hamas. Ora questa organizzazione senza l’apporto militare di Hezbollah ha poche prospettive.
IN questi giorni l’Israeli Defense Forces ha pattuito l’abbandono nel sud del Libano ed Hezbollah l’arretramento oltre il fiume Litani. Nell’area resterà però di stanza l’esercito libanese e quello dell’Unifil.
Ma sulla Striscia di Gaza c’è ancora incertezza – al di là delle rassicurazioni date da Anthony Blinken (segretario di Stato americano) al G7 Esteri di Fiuggi. Il tentativo da parte del presidente degli Stati Uniti entrante sarà quello di coinvolgere nuovi interlocutore fededegni per i contraenti. Questi possono essere Turchia, Egitto, Qatar. Ottenere le rassicurazioni da parte di Israele per il cessate il fuoco a Gaza.
E il problema resta quindi la credibilità di chi governa le trattative, oltre che le due parti contraenti. Ma nulla sarà definitivo senza la realizzazione di uno Stato palestinese che finora non sono riusciti ad erigere. Anche per questa operatività ci sarà bisogno del terzo a garanzia. Con la solita domanda: chi garantisce sul garante?