Se sale l’occupazione scende la disoccupazione. Dovrebbe essere lapalissiano. Ma non sempre è così nel nostro paese. Perché tra i disoccupati registrati come tali, c’è invece tanta gente che lavora a nero. Tra gli occupati sono segnate persone con reddito part time e con un trattamento assolutamente non soddisfacente a tenere in piedi un minimo tenore di vita. È il quadro del nostro paese da molto tempo a questa parte.
Ma quando l’Istat offre dati coerenti c’è da sperare che qualcosa funzioni. L’ultimo report di ottobre dà il tasso di disoccupazione in calo al 5,8%. Questo significa 0,2 punti percentuali in meno.
Nello specifico il tasso di disoccupazione giovanile, al 17,7% (-1,1 punti). A settembre si era registrato un calo ma ad ottobre gli occupati sono tornati a crescere con quarantasettemila unità di personale. Sono attualmente ventiquattro milioni novantaduemila.
Sempre dato Istat che aggiunge il fatto che l’aumento riguarda prevalentemente i dipendenti permanenti e gli autonomi, mentre scendono i dipendenti a termine. “L’occupazione cresce anche rispetto a ottobre 2023 (più trecentossessantatré mila occupati). Su base mensile, il tasso di occupazione sale al 62,5%, quello di inattività al 33,6%” (ISTAT). Sempre ad ottobre i dipendenti permanenti salgono a sedici milioni duecentodieci mila. Mentre gli autonomi si contano in numero di cinque milioni centocinquantotto mila.
Ma il dato che appare più convincente consiste nella diminuzione della disoccupazione ufficialmente registrata ma mai simmetrica al dato sull’occupazione proprio per l’anomalia del caso italiano e della sua inquieta rappresentazione del rapporto domanda e offerta perché falsato da misure atte a raggirare le evidenti registrazioni del dato.
È il lavoro il lato più scoperto e insieme più evidente della crisi italiana. Consiste nel sestante specifico in cui si evidenzia come il mercato inteso in senso generale viva nella precarietà più assoluta senza punti di riferimento certi, fatta eccezione dei possessori – a viario titolo – di reddito fisso. Un’Italia a due tempi che non si concilia con l’andamento generale che ha sempre meno di generale e coglie sempre uno specifico del tessuto produttivo.
Governo ed opposizione dovrebbero occuparsi centralmente e quasi univocamente di questo invece di inutili schermaglie sul canone Rai o su altre madri di tutte le riforme. Il senso della crisi del nostro paese va centrato tutto qui. Ed è sempre e comunque il tessuto produttivo a soffrirne.