Le vicende della Fiat-Fca-Stellantis hanno sempre coinvolto il vivo dell’interesse nel nostro paese. Un fatto comprensibile per la gran quantità direttamente coinvolte in queste scelte. Sicuramente. Ma anche perché la direzione come la buona salute di questa mega impresa un tempo italiana coinvolgono una miriade di altre attività costitutive dell’indotto. Fin qui i numeri che però non esibiamo perché sarebbero incongruenti per capire l vera entità del problema.
Basti comprendere che, ad oggi, nel pieno della crisi e della smobilitazione, il mondo Stellantis dà lavoro a ottantaseimila persone: cinque stabilimenti auto e uno di veicoli leggeri commerciali.
Ma c’è un altro aspetto ancora più profondo in questa crisi rappresentativa della nostra crisi. E cioè il fatto che l’immaginario popolare attribuisce a questo grande comparto un’importanza ancora maggiore di quella conferita dai numeri. Solo così si spiegano negli anni di questo secondo dopoguerra gli aiuti dati al sistema Fiat-Fca-Stellantis senza provocare rivolte sociali e accuse di sperequazione nel fare figli e figliastri nell’intervento dello Stato nell’economia reale.
Siamo ad una situazione in cui il senso di questa crisi è ben superiore a quello di una impresa pur importante e multinazionale. L’Europa celebra il tramonto dell’automotive. Si annunciano provvedimenti straordinari della finanziaria in predicato di essere approvata. Ma non saranno sufficienti, non basteranno mai. E il problema non è davvero solo italiano.
È infatti l’Unione Europea, con Ursula von der Leyen e il Consiglio dei 27, ad aver deciso la rincorsa verso il modello elettronico con la legge 2035. La produzione europea è soggetta agli altri poli produttivi mondiali. Esempio: gran parte dei materiali si acquistano in Cina.
In più l’operazione di vendere Fca alla Peugeot e la trasformazione in Stellantis che comporta lo smantellamento fattuale dei nostri impianti e il potenziamento di quelli francesi. Ma quando succede questo anche la progettazione, il marketing, il cervello dell’engineering di questo grande mondo italiano si prepara ad andarsene in Francia. Altro che sostenimento dei marchi europei si è assistito invece allo sciovinismo di alcuni esistenti a scapito di altri.
In Italia, in definitiva, si fa solo il montaggio. E si tratta di un processo maturato in venti anni. Tanto che a questo punto potremmo lasciare Stellantis al suo destino. Ma nell’evoluzione della tecnologia e del fare automobili l’elettronica ha preso il sopravvento e per fare queste auto non c’è più bisogno di catene di montaggio. L’auto elettrica si fa facilmente ha bisogno di diversi macchinari. La soluzione post-post-keynesiana allora consisterebbe, da parte dei nostri scienziati della cosa pubblica, di creare welfare con lavoro apparente che somiglia assai più a una cassa integrazione.
Ma la risposta possibile consiste nel rivedere quella soluzione dell’Unione Europea e pensare ad ambiti di produzione tecnologica in grado di rendere il nostro paese al passo coi tempi e con l’elettronica avente un’altra velocità. Due risposte molto difficili nel concreto ma vivacchiare non è più facile.