In ogni grande battaglia di idee si lasciano per terra dei cadaveri. Si tratta di capire se le idee ne valgono la pena e se si intende rinunciare a tanto in cambio della coerenza nella lotta – non nella vittoria, perché questa non è data, tutto è da vedere e da dimostrare.
L’elemento sacrificale ultimo in agenda consiste nell’industria dell’automobile. La grande battaglia di idee consiste nel condurre una battaglia di risanamento ambientale per abbattere i livelli di anidride carbonica che sarebbe a causa del riscaldamento del pianeta o dei cambiamenti climatici.
È il 2023 quando l’Unione Europea ha fissato il 2035 come data limite per smettere di produrre motori termici. Ci fu il voto di astensione del nostro paese e il voto contrario della Polonia e tutto passò come una grande conquista del mondo libero regolatore delle sopraffazioni umane sull’ambiente.
Oggi si richiede a Bruxelles di rinviare la data fissata in una scadenza così vicina per riavviare l’asset industriale dell’automobile. E non a caso è l’Italia uno dei paesi a chiederlo.
I comparti industriali dell’automobile nati e cresciuti negli stati europei, d’altra parte, si sono cullati per troppo tempo su certezze friabili. Tra queste quelle dei rispettivi stati assistenziali, poi il ritardo nella sperimentazione sull’elettrico, la delocalizzazione verso nuove terre dal prelievo fiscale meno oneroso, il non aver anteposto alcunché alla crescita dei prezzi per le materie prime.
Ma c’è stata anche una debolezza del settore industriale che per accettare la scommessa di stare al passo coi tempi ha cercato di lavorare ai fianchi con queste forme fruste – quali appunto la delocalizzazione e qualche furbizia imprenditoriale – mostrando la totale inadeguatezza nel saper rispondere a tutti i problemi che contemporaneamente arrivavano rendendo problematica produzione e vendita un tempo fiore all’occhiello dei singoli stati europei.
Si tenga conto della ridicola pretesa di essere ancora il lume del mondo da parte dei nostri continentali ed ecco che il gioco è fatto. Ammesso e non concesso che ci sia relazione tra cambiamento climatico e produzione industriale questa battaglia non può essere condotta da una limitata porzione del pianeta quale è l’Europa.
E poi le grandi svolte industriali costano! Si pagano nel tempo con la produzione e distribuzione nel mercato. L’Unione dovrebbe o avrebbe dovuto aiutare (perché difficile capire ora se sia troppo tardi) questa grande svolta. Ma è vero che quando questi grandi comparti fanno grandi guadagni non ridividono i proventi con nessuno se non i propri azionisti. La mano pubblica oltre ad essere guida e faro deve ancora essere dispensatrice di risorse per i poveri amministratori in ambasce nel determinare una svolta.
Ma queste risorse potrebbero anche essere destinate al mondo degli acquirenti, sempre più in difficoltà nel comprare i prodotti dell’automotive europea. Una campagna di incentivi molto forte perché in Europa sia facile fare acquisti europei, tanto più nel farne uno oneroso come l’automobile.
E si parlerà allora di protezionismo e sciovinismo continentale. Ed è anche a questo che in Europa ci si deve vaccinare: contro la contumelia facile e il facile stato di accusa. Gli altri invece vanno avanti come treni…
A proposito! I treni!