Nel cuore di una Roma avvolta da una nebbia fitta e ambigua, nel profondo dei palazzi del governo, vi era un gran banchetto, dove le voci dei politici si mescolavano con i cupi echi di promesse e tradimenti.
Octavio, un senatore scaltro e opportunista, si era dato da fare per procurarsi l’Ammontillado, un vino pregiato che rappresentava la quintessenza della corruzione italica e delle alleanze subdole.
“Un brindisi!” esclamò Octavio, alzando il calice, “alla stabilità di questo governo!” Sorrisi forzati e risate nervose riempivano la sala. Ma nella penombra, un suo rivale, il pallido e misterioso Fortunato, ansioso di risolvere i fastidiosi affari del paese, si avvicinò, attirato dal profumo inebriante del vino.
“Octavio, amico mio! Ho sentito dire che hai dell’Ammontillado di prima qualità. Potrei assaporarlo?” chiese Fortunato, già ebbro di ambizioni e promesse non mantenute.
“Certamente, mio caro Fortunato!” rispose Octavio, celando dietro il suo sorriso di circostanza intenzioni oscure. “Ma questo barilotto è custodito in una cantina… ah, un luogo segreto, adatto solo a coloro che sono disposti a sacrificare la propria dignità per un sorso di potere.”
E così, i due si incamminarono verso la cantina, mentre i corridoi del governo risuonavano delle loro voci e dei piani per rovesciare e rimanere a galla, come un gioco di scacchi truccato. La luce tremolante delle lampade rivelava una serie di scaffali pieni di bottiglie, ma sopra tutte svettava un barilotto dorato, etichettato come il “Nostro Futuro”.
“Ah, finalmente!” esclamò Fortunato, gli occhi sgranati dalla brama. “È un’occasione d’oro! Come non gustare il tesoro del potere?”
Octavio, con un sorriso sinistro, si chinò per riempire il bicchiere di Fortunato. “Ma prima, amico mio,” disse con tono melodrammatico, “c’è una storia da narrare. Prima del vino, ascolta.”
Mentre raccontava storie di antiche alleanze e di tradimenti, Omnia, la Dea della Politica, sorrideva in lontananza, contemplando la follia di quegli uomini. Fortunato, preso dall’ardore dell’assimilazione culturale e dal luccichio del seggio, non si accorgeva di come Octavio stesse architettando il suo destino.
Dopo aver bevuto a lungo, l’azzardo si fece teso e il sudore si mescolò al vino. Con un ultimo e fragoroso brindisi, Fortunato cadde nel barilotto; un uomo affogato, non più nel dolce nettare, ma nella brutta realtà di una politica senza etica.
Octavio, contemplando il barilotto d’Ammontillado adesso che splendeva come un trofeo, si rise della follia che dominava il suo regno. “Ecco,” disse, “la prova che la politica, come il vino, è buona solo se la degustazione è condotta con moderatione. A volte, per preservare il potere, è necessario far fuori i rivali.”
E da quel giorno, nei corridoi del potere, la canzone di Fortunato rimase un lamento silenzioso, un avvertimento: in Italia, chi cerca l’Ammontillado della gloria, spesso trova solo il barilotto dell’inganno.