L’aula-bunker del carcere Pagliarelli a Palermo è stato il teatro di uno dei processi topici e tipici della nostra storia repubblicana. E la domanda impossibile va su cosa sarebbe successo se la sentenza fosse stata di tipo diverso. Imputato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio, Salvini ha teso alla difesa strenua dei maggiori valori nazionali.
A ben guardare la forzatura di impedire – siamo nell’agosto del 2019 – alla nave Open Arms di attraccare in porto di Lampedusa con centoquarantasette migranti a bordo. Una prova di forza in sé e per sé inutile dati i numeri dell’immigrazione regolare e clandestina verso il nostro paese. Ma serviva, a parere del governo in carica in cui Giuseppe Conte era il primo ministro, a dare una prova di forza di cui si sarebbe parlato nel mondo. Un modo, per così dire, di scoraggiare l’imbarco di tanti disperati presso le nostre coste. Matteo Salvini, al tempo, era ministro dell’interno e si prese la primogenitura dell’iniziativa firmando personalmente l’ordinanza.
L’argomento a suo favore era anche quello che la nave Ong era spagnola. Un paese avente confini divisi da un lembo di mare assai limitato, diversamente dal centro del Mediterraneo e la lunga percorrenza per arrivare presso i nostri porti. E poi c’è anche che in passato gli spagnoli non si erano mostrati così prodighi nell’abbracciare gli immigrati presso le loro terre. Se la nave era spagnola, non si capiva perché dovesse attraccare per forza in Italia e qui lasciare il peso di tanta sofferenza nel mondo.
Causa l’ordinanza di Salvini, la nave restò ferma, senza attraccare per diciannove giorni. La Procura di Agrigento invece autorizzò lo sbarco. L’illecita detenzione in stato di fermo ha procurato la denuncia per parte civile all’ex ministro dell’interno. Di qui ci sono volute ventiquattro udienze con quarantacinque testimoni per arrivare a questa sentenza.
La questione in sé, da qualsiasi parte la si guardi, sta tutta qui. Cinque anni di fuffa con pronunciamenti, manifestazioni e parole grosse. Il solito processo mediatico finito in coda di pesce che dimostra però una dialettica interna nella magistratura in quanto al capo di imputazione della Procura non segue necessariamente la sentenza di colpevolezza. Contrariamente al parere lanciato più volte nei dibattiti, i detrattori politici della magistratura debbono ammettere anche questo.
Sarebbe bello però se tutto questo fosse anche vero. Il fatto conseguente a una messa in stato di accusa fa pensare piuttosto a come il tutto sia determinato da un fumus in cui le ragioni sono sempre politiche o peggio ancora, sentimentali. Non c’erano le ragioni per chiedere sei anni per sequestro di persona. Non c’erano ragioni, se non quelle della demagogia propagandistica, di fare questa sceneggiata tenendo ferma la nave al porto.
Il problema dell’immigrazione, così come una miriade di problemi difficili da risolvere, trovano una classe politica sempre più pronta alla sceneggiata per prendere il facile applauso della giornata. Ma neanche questi arrivano più. La vicenda è troppo datata e stancamente ripetitiva per interessare chiunque non sia già schierato.
Il flusso dei colpi di teatro per tenere alta l’attenzione a un mondo che non decide, perché non può più farlo, continua. Lo spettacolo è gratis. Nessuno paga il biglietto. Per ora.