Roma, 26 dicembre 2024 – Un Giubileo inedito, un’azione carica di simbolismo: Papa Francesco ha aperto la seconda Porta Santa del Giubileo 2025 non tra le fastose mura di una basilica, ma nel cuore di Rebibbia, il carcere romano.
Un gesto audace, un’eco potente di speranza che risuona ben oltre le sbarre, proiettando un raggio di luce sulle ombre di un sistema spesso dimenticato.
L’apertura della “Porta della Speranza”, come l’ha definita lo stesso Pontefice, è avvenuta nel giorno di Santo Stefano, primo martire cristiano, un’ulteriore sottolineatura del profondo significato teologico e sociale dell’evento. “Ho voluto che la seconda Porta Santa fosse qui, in un carcere,” ha affermato Papa Francesco, “perché tutti noi avessimo la possibilità di spalancare le porte del cuore e capire che la speranza non delude, mai.” Le parole del Papa, cariche di emozione e di sincera compassione, hanno risuonato nella chiesa del Padre Nostro, gremita di detenuti, operatori penitenziari e volontari.
L’omelia, pronunciata a braccio, ha toccato le corde più profonde dell’animo umano: un invito a vivere la fraternità attraverso l’apertura dei cuori, a non perdere la speranza, aggrappandosi alla “corda” della fede e mantenendo i cuori aperti alla grazia divina. Un appello accorato rivolto non solo ai detenuti, ma a tutta l’umanità, un monito a non dimenticare la fragilità umana e la necessità di un’attenzione compassionevole verso coloro che si trovano ai margini della società.
La scelta di Rebibbia non è casuale. È un’eco del gesto storico di Papa Giovanni XXIII, che nel 1958 visitò il carcere di Regina Coeli, un evento che oggi, a distanza di decenni, trova una straordinaria continuità nell’azione di Papa Francesco. Come Roncalli, Bergoglio ha voluto incontrare personalmente i detenuti, ascoltando le loro storie, sottolineando la possibilità di una seconda possibilità per ognuno. “Poteva esserci lui al loro posto,” ha dichiarato il Papa, ribadendo la vicinanza della Chiesa a chi soffre e si trova in una situazione di disagio.
L’evento è stato arricchito dai doni offerti ai detenuti: olio, biscotti, ceramiche e bavaglini, frutto del lavoro manuale all’interno del carcere, un simbolo tangibile dell’umanità e della capacità di riscatto che dimora anche nelle situazioni più estreme. L’installazione artistica “Io contengo moltitudini”, con frasi di detenuti e operatori penitenziari, ha ulteriormente sottolineato il messaggio di speranza e di inclusione sociale.
Il Giubileo a Rebibbia è più di una semplice cerimonia religiosa: è un potente messaggio di inclusione, un grido di speranza per le carceri del mondo intero. Un segno tangibile della missione della Chiesa, chiamata ad abbracciare con umanità e vicinanza coloro che sono spesso dimenticati, ricordando le parole di Gesù: “Ero in carcere e mi avete visitato”. Un monito per tutti noi, a non perdere mai la speranza e a costruire un mondo più giusto e compassionevole.