Letizia Meuti, giornalista e scrittrice, ci ha aperto le porte di un mondo affascinante con il suo romanzo d’esordio, “Un cinese napoletano“. Un’opera che, con un tocco leggero e ironico, ci racconta l’incontro tra due culture apparentemente distanti, quella napoletana e quella cinese, un viaggio emotivo che ci invita a guardare oltre le apparenze, a scoprire le radici che ci definiscono e a comprendere come le nostre esperienze modellino chi siamo.
Oggi abbiamo il piacere di intervistare Letizia Meuti, per comprendere meglio il suo percorso, le motivazioni che l’hanno portata a scrivere questo libro e il significato che lei attribuisce alle tematiche trattate nella sua opera.
Nel tuo romanzo “Un cinese napoletano” c’è un incrocio affascinante tra culture diverse. Cosa ti ha spinta a esplorare questo tema e quali sono le sfide che ha incontrato nel rappresentare due realtà così lontane? Ho voluto mettere insieme due delle mie più grandi passioni: quella per la cultura orientale e quella per le splendide città del nostro meridione. Ovviamente non è stato facile anche perché ho assistito in prima persona, nel creare il libro, ad un vero incontro/scontro tra due mondi: il nostro (quello occidentale) e quello orientale.
Il titolo del libro è curioso e provocatorio: “Un cinese napoletano”. Come mai hai scelto questo accostamento, così forte e simbolico? Ho voluto fortemente questo titolo, come la copertina del libro del resto, perché avevo l’idea, fin da subito, di creare questo particolare mix, quasi come fosse un ossimoro.
I personaggi della famiglia Dae-Wang sono molto ben delineati e riescono a trasmettere un’ampia gamma di emozioni. Come hai costruito questi personaggi così autentici? Come tanti altri scrittori e autori, per rendere il tutto più autentico, mi sono voluta documentare bene prima di iniziare, prendendo spunto dalla realtà, in particolar modo, dai racconti di alcune mie conoscenze appartenenti proprio a quel tipo di cultura.
Fra tutti i personaggi del libro quale ti è più vicino e perché? A me è piaciuto molto descrivere il personaggio del professor Andrea Costanzo. Questa sua malinconia che si porta sempre dietro, la nostalgia dei tempi andati insieme ai ricordi, l’amore ancora vivo per la moglie defunta ecc… C’è un mondo dietro questo personaggio.
Quali sono le tue influenze letterarie? Ci sono autori o autrici che ti hanno ispirata nella scrittura di questo romanzo? Più che al mondo letterario, questa volta, mi sono voluta ispirare a quello cinematografico e a quello musicale, infatti non è un caso che abbia inserito alcuni riferimenti molto importanti per entrambe le realtà.
Nel tuo romanzo si parla molto di identità e di come essa possa essere influenzata dalle nostre origini e dalle nostre esperienze. Qual è la tua personale riflessione su questo tema? La provenienza, le radici, soprattutto, sono dei temi ai quali sono molto legata. Penso che sia importante per ognuno di noi, essere legato e portare dentro le proprie origini di appartenenza, è quello che io chiamo casa, che ogni volta ci fa tornare e ci ricorda chi siamo veramente. Un punto di riferimento.
Il tuo stile di scrittura è molto scorrevole e ricco di ironia. Come hai trovato il giusto equilibrio tra la narrazione delle vicende e la riflessione sui temi più profondi? Ecco, la parola giusta è proprio equilibrio. Forse è stata la forza del mio intento nel voler raccontare questa storia, di renderla anche protagonista di spunti di riflessione importanti, mantenendo sempre uno stile narrativo leggero senza però cadere nella banalità.
Quali sono i suoi progetti futuri? Stai già lavorando a un nuovo romanzo? Attualmente, sto ultimando altri due romanzi sempre di narrativa contemporanea, che dovrebbero uscire verso la metà di quest’anno. Uno, ambientato nei nostri giorni, in cui tratto da vicino il mondo dei ragazzi. L’altro, il secondo, è ambientato in un periodo storico abbastanza particolare in cui ritorno a parlare di famiglia ma in questo caso ho voluto usare un tono un po’ più drammatico.
Eleonora Francescucci