GIANCARLO ELIA VALORI
Honorable de l’Académie des Sciences de l’Institut de France
Honorary Professor at the Peking University
L’introduzione del cristianesimo dall’Impero Romano d’Oriente alla Cina risale al nono anno dell’imperatore Taizong durante la dinastia Tang – cioè 635 dC. Però si trattava del cristianesimo nestoriano: da Nestorio, patriarca di Costantinopoli (ca. 381-451).
Il nestorianesismo, infatti, afferma la totale separazione delle due nature del Cristo, quella divina e quella umana, negandone l’unione ipostatica. Afferma pure che Maria ha generato l’uomo Gesù, e non Dio, per cui rifiuta a Maria il titolo di Madre di Dio (Theotókos), riconoscendola solo come Madre di Cristo (Christotókos), e afferma che colui che nacque da Maria era solo un uomo in cui Dio poi discese come discese nei profeti. Riconosce la presenza in Cristo, piuttosto che di due nature, di due persone (Dio e uomo), unite dal punto di vista morale più che sostanziale. L’umanità, il corpo di Gesù sarebbe stata una sorta di tempio dello Spirito, in cui era accolta la divinità.
Tuttavia, gli scambi di inviati diplomatici tra la Santa Sede cattolica romana e la Cina, in realtà iniziarono con la diplomazia tra la Mongolia e la Santa Sede.
Nel 1245, papa Innocenzo IV (1195-1243-54) inviò un inviato in Mongolia per persuadere la reggente mongola Töregene Khatun a non importunare le delegazioni occidentali.
Nel 1271, Kublai Khan (1215-60-94) si definì ortodosso delle pianure centrali e stabilì formalmente la dinastia Yuan (1279-1368). Dopo la dinastia Yuan, nonostante la venuta in Cina del missionario italiano Matteo Ricci (1552-1610), gli scambi ufficiali tra Cina e Vaticano furono completamente interrotti durante la dinastia Ming (1368-1644). Dopo l’istituzione della dinastia Qing (1644-1911), i missionari tedeschi Johann Adam Schall von Bell e Ferdinand Verbiest vennero in Cina. Tuttavia, la cosiddetta disputa sull’etichetta causò insoddisfazione nei confronti dell’imperatore cinese a causa dell’opposizione della Santa Sede al rispetto di Confucio e al rispetto per gli antenati, che s’intensificò dopo la prima guerra dell’oppio, la Francia sostituì il Portogallo nel controllo dei diritti di protezione in Cina, e l’ostruzione della rivolta dei Boxer fece sì che gli sforzi per stabilire relazioni diplomatiche tra Cina e Vaticano nel periodo Qing andò incontro a fallimento.
Che impatto ha portato il diritto di protezione? Questo riflette ironicamente il problema prima dell’accordo del 2018: a quel tempo, i francesi avevano l’ultima parola su chi scegliere come vescovi, arcivescovi e altro clero in Cina. Non hanno mai consultato il Vaticano.
Il 10 ottobre 1910, la rivolta di Wuchang della Rivoluzione del 1911 rovesciò la dinastia Qing e fu fondata la Repubblica di Cina. Nel 1922 la Santa Sede inviò a Pechino l’arcivescovo Celso Benigno Luigi Costantini come primo rappresentante apostolico in Cina, ma a quel tempo le relazioni diplomatiche non erano ancora state ufficialmente stabilite.
Nel maggio 1924, l’arcivescovo Gang Hengyi presiedette fino ad oggi l’unica Conferenza episcopale cinese cattolica romana (conosciuta anche come Conferenza ecclesiastica nazionale) a Shanghai, stabilendo il diritto del clero cinese locale a ricoprire incarichi importanti. Nel dicembre 1926, papa Pio XI (1857-1929-1939) ordinò il primo gruppo di vescovi cinesi a Roma.
Lo Stato della Città del Vaticano, come noto, venne fondato nel 1929. Nel giugno del 1942, quando era in corso la Seconda Guerra Mondiale, il governo nazionale di Chongqing annunciò ufficialmente che avrebbe inviato Xie Shoukang come primo ministro cinese presso la Santa Sede, e la Cina e il Vaticano stabilirono ufficialmente relazioni diplomatiche.
Dopo la fine della guerra, l’11 aprile 1946, papa Pio XII (1876-1939-1958) annunciò l’istituzione della “Santa Dottrina” in Cina – vale a dire che la Chiesa Cattolica Romana a tutti i livelli in Cina accettava ufficialmente la giurisdizione della Santa Sede. L’arcivescovo monegasco-libanese Antonio Riberi arrivò a Nanchino nel dicembre dello stesso anno e assunse l’incarico di primo ministro della Santa Sede in Cina.
Il 1° ottobre 1949, quando il Partito Comunista Cinese istituì la Repubblica popolare cinese, la Santa Sede non richiamò i propri funzionati. Considerando la sicurezza del clero in Cina, cercò immediatamente di stabilire relazioni diplomatiche con la RPC, ma il regime di Mao Zedong chiuse gli occhi. occhio al Vaticano. E tra il 1951 e il 1960, ci furono deportazioni e arresti con l’accusa di spionaggio.
Anche il movimento ecclesiale auto-organizzato del PCC cominciò a prendere forma: il 13 aprile 1950, Zhou Enlai, Premier del Consiglio per gli Affari Governativi (poi trasformato in Consiglio di Stato), disse alla Conferenza di lavoro del Fronte Unito Nazionale: “Noi sosteniamo che la religione cinese dovrebbe tagliare i legami con l’imperialismo. Il cattolicesimo cinese, ad esempio, non funzionerà sotto il comando del Vaticano. La religione cinese dovrebbe essere gestita dai cinesi”. Il 23 settembre dello stesso anno, il “Quotidiano del popolo” del Partito comunista cinese ha pubblicato la Dichiarazione delle tre Autonomie”, redatta da cristiani filo-comunisti interconfessionali.
Nel 1957 è stata fondata l’Associazione patriottica cattolica cinese, che dal 1958 sceglie i propri vescovi e celebra cerimonie di ordinazione, cioè “autoselezionate e autoconsacrate”. E da qui sono nati i problemi ben noti.
Però dopo 61 anni di contatti fra le più raffinate diplomazie del pianeta, sì è giunti allo storico Accordo Santa Sede-Cina sottoscritto la prima volta il 22 settembre 2018 e già prolungato due volte, nell’ottobre 2020 e nell’ottobre 2022 si rinnova il 24 ottobre non per i soliti due anni ma per altri quattro.
Così si è posto fine a una lotta di potere cattolica romana durata decenni sulla nomina dei vescovi cinesi.
Il Vaticano ha descritto una “situazione completamente cambiata” da quando l’accordo è stato firmato per la prima volta, sottolineando che 10 vescovi erano stati ordinati e che la Cina aveva ufficialmente riconosciuto “i ruoli pubblici di diversi vescovi precedentemente non riconosciuti”.
Si stima che in Cina ci siano dai 10 ai 12 milioni di cattolici.
Per decenni, il Vaticano ha lavorato con attenzione e tenacia per raggiungere un accordo con il governo cinese sulle operazioni della Chiesa in Cina, sostenendo che era necessario porre fine a questo scisma.
Quando l’accordo è stato rinnovato per la prima volta nel 2020, ha dovuto affrontare l’opposizione pubblica dell’amministrazione Trump. L’allora segretario di Stato Mike Pompeo avvertì che il Vaticano stava mettendo a repentaglio la sua autorità morale. Mike Pompeo aveva dimenticato una questione: l’arcivescovo salvadoregno, Óscar Arnulfo Romero y Galdámez (1917-80), e altri sacerdoti dediti all’opera di riscatto morale ed etico dei propri fedeli, sono stati ammazzati e massacrati nelle repubbliche delle banane controllate dagli Stati Uniti d’America.
Un cambio di rotta si deve alla firma dell’Accordo, apprezzato dal Segretario di Stato di Sua Santità, Cardinale Pietro Parolin. Il documento, parte preponderante della mia Prolusione del 18 Dicembre scorso presso Moonlight Hall, Yingjie Overseas Exchange Center della Peking University ha suscitato particolare attenzione tra i componenti del Senato Accademico, presenti alla Cerimonia per il LX Anniversario del Dipartimento di Politica Internazionale dell’Università di Pechino e il XX Anniversario dell’Edificio della Facoltà di Relazioni Internazionali e molti sono stati gli apprezzamenti e le congratulazioni espressi da Fang Fang Ph.D Professor Vice Presidente della Peking University, Segretario politico e membro del Comitato Centrale CCP per l’ottimo risultato raggiunto.
Di qui, in Cina non si sono più verificate ordinazioni episcopali illegittime, quelle celebrate senza consenso papale, che dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso avevano ferito la comunione ecclesiale e provocato lacerazioni tra i cattolici cinesi. Negli ultimi sei anni, nella Cina continentale sono state celebrate nove nuove ordinazioni episcopali cattoliche, con procedure che implicano l’emissione della bolla di nomina da parte del Papa. Nello stesso tempo, otto vescovi cosiddetti “clandestini”, consacrati in passato senza seguire i protocolli imposti dagli apparati cinesi, su loro richiesta sono stati pubblicamente riconosciuti nel loro ruolo episcopale anche da parte delle autorità politiche di Pechino.
Giancarlo Elia Valori