IL nostro paese trova occasione del quarto di secolo per lo svuotamento coscienziale di altre Idi di Marzo che hanno costellato la sua Storia e cioè l’eliminazione o meglio la rimozione di una personalità che avendo governato il paese per una sua fase ne costituisce comunque un’espressione importante.
Bettino Craxi ha lo stesso destino di altri. Alcuni ben chiari, senza fare esempi, altri indicibili – quindi gli esempi non si fanno. Ma il destino carsico che si avventa sulle coscienze sprovvedute è quello di ripetere lo stesso psicodramma. Trovarsi attoniti e interdetti, quindi incapaci di dare una valutazione che abbia la pretesa di essere onnicomprensiva perché prodotto dalla Storia reale.
Oggi si dice che Craxi fu una vittima di un sistema entrato in crisi con la fine del biporalismo e così l’obbligo della conventio ad excludendum: quell’antica logica per cui due forze, anche antagoniste, dovevano per forza allearsi per escluderne altre assolutamente da evitare. Queste altre erano i comunisti del Pci e i fascisti dell’Msi.
Quelle con due anime e orientamenti diversi ma obbligati a convivere negli anni Ottanta erano la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista di Craxi. A rafforzare la necessità di questa coalizione che prediligeva una delle due forze in alternanza, ci fu il dibattito sul compromesso storico che imperversò negli anni Settanta. Consisteva nella santa alleanza tra i due partiti monoliti che in alleanza avrebbero rappresentato molto più del sessanta per cento degli elettori, quindi con la possibilità di agire tranquilli e indisturbati per decenni schiacciando tutto quello che c’era in mezzo. Quindi il Partito Socialista (di Craxi o senza Craxi), i repubblicani, i liberali e i socialdemocratici.
In tal senso diventò superno il pensiero aristotelico (riportato da Alessandro di Afrodisia): priori vivere deinde philosophari.
IL fenomeno nazionale chiamato Bettino Craxi nasce su questo sfondo. Impossibile parlare di lui per comprenderne le res gestae senza riferirsi a questa scena.
In questo modo si comprendono i suoi atti, la sua maniera di fare politica inusitata per i suoi tempi ma oggi alla portata di molti. Dare dichiarazioni pesanti, uscire dai protocolli, ma soprattutto pre-tendere di sbloccare a spallate situazioni rimaste da troppo tempo ferme.
A Bettino Craxi si deve il primato storico di aver inteso il ruolo della magistratura come eccessivo nella vita politica del paese. Il primo a dire che i magistrati in Italia hanno troppo potere. E questo in età assai antecedenti alla sua vicenda personale concretizzata nel finale drammatico di Tangentopoli.
La sua stessa fine aggiunge un’altra intuizione alla sua figura tale da toglierlo dalla semplice rendicontazione cronachistica per trasformarlo in uno spunto per una tragedia teatrale. Bettino Craxi preferisce morire ad Algeri rifiutando il ritorno in Italia con un velato arresto per non incorrere in questa umiliazione. Ma in questo modo rende la sua figura ancora più drammatica e il cui dibattito permanente degno di una sempre nuova tematizzazione.
L’alternanza, che oggi è un concetto abbondantemente assimilato in un paese retrogrado come il nostro, fu la sua vera intuizione. Ed era una bestemmia per quei tempi in cui nasceva il suo astro. C’era da una parte l’amministrazione e la gestione, dall’altra la prospettiva fintamente rivoluzionaria che in definitiva cambiava solamente il carattere alle due precedenti prerogative citate. Craxi tematizzò finalmente che in una democrazia sana i soggetti in campo impegnati nella gestione della cosa pubblica dovevano osservare un’alternanza. Ma non nello stesso partito che era diventato l’emblema di una dittatura consensuale: la Democrazia Cristiana. Bensì un’altra Italia, laica, avanzata ai nuovi processi di rinnovamento e portatrice di nuovi soggetti. Furono tutti protagonisti che uscirono alla ribalta dopo il ’94. Ma anche allora non fu abbastanza per ammettere che almeno in questo Craxi aveva avuto ragione.