Francamente non si capisce il senso del casus belli che ha convinto molti magistrati a protestare in modo evidente contro il governo che ha votato la riforma per cui le carriere tra pubblico ministero e giudice giudicante seguiranno strade totalmente diverse.
Non si capisce dove sia l’attacco alla Costituzione e dove venga infirmato il dispiegarsi della loro identità professionale così come l’esercizio dell’applicazione delle leggi. Non condividere la legge è normale, legittimo, comprensibile. Anche perché le novità creano sempre qualche resistenza nei corpi rigidi che difendono una loro posizione precostituita oppure un avamposto di potere.
Ed è forse questo all’origine del male di cui si sarebbe macchiato il governo in carica. Ha ricordato a tutti che anche i magistrati sono sottoposti a legge e il potere di cambiarle, modificarle, erogarne nuove appartiene unicamente ad un altro potere, quello legislativo.
L’applicazione di una forma di consociativismo surrettizio tra poteri nella gestione del governo si è rotto con questa approvazione. Da ora e ancor più di prima sarà lotta a l’uomo. Non ci saranno mediazioni. Il politico che sbaglia (e viene scoperto) si prepari a fronteggiare le peggiori conseguenze che l’istituto normativo consente di applicare.
Si prepara una lotta senza quartiere le cui memorie di Tangentopoli saranno un lontano ricordo.
Al momento a Napoli abbiamo assistito all’abbandono dell’aula da parte dei magistrati quando inizia a parlare il ministro della giustizia Nordio. Non è un comportamento estemporaneo. Lo ha deciso il comitato direttivo dell’Associazione nazionale magistrati. La Costituzione tra le mani e levata al cielo. Comportamento plateale per inaugurare un anno giudiziario con l’inno di Mameli che suona quasi come commento musicale a quanto sta accadendo. A Roma lo stesso copione solo che c’è il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano che nell’intervento chiarisce: “vogliamo fare una riforma per i cittadini e non contro i magistrati”. Ma non recede la protesta con la Costituzione in mano. A Milano ritrova gli antichi fasti l’ex pm di Mani Pulite Gherardo Colombo che prende mano al sit-in di sabato. Giudici, pm milanesi e procuratori della sede del distretto della corte d’appello si sono schierati compatti davanti sulla scalinata davanti all’ingresso principale di Palazzo di giustizia. Indossano la toga, hanno la coccarda tricolore ed immancabile la copia della Costituzione. e hanno srotolato due striscioni che riportano frasi di Pietro Calamandrei. Anche a Palermo magistrati con in mano Costituzione sono entrati nell’aula magna della Corte d’appello per l’inaugurazione dell’anno giudiziario.
Non è il “resistere resistere resistere” di Francesco Saverio Borrelli detto a Milano del 2002, sempre per l’apertura dell’anno giudiziario. Lì era in ballo lo sgretolamento della coscienza civica e del senso del diritto. Qui c’è il rifiuto a modificare il modo di intendere sé stessi. IN un mondo dove tutto cambia, anche i poteri, solo chi giudica dovrebbe restare immobile a sé stesso.