L’iniziativa Cgil sull’articolo 27 denuncia le condizioni disumane e la negazione dei diritti dei detenuti al lavoro, alla salute, all’istruzione, agli affetti. Le carceri italiane sono sovraffollate: il tasso medio è del 119 per cento, tra i più alti in Europa, e registra picchi del 153 per cento in Puglia, 142 in Lombardia, 134 in Veneto (fonte Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria). Gli stessi livelli record e le stesse condizioni insostenibili e degradanti che quindici anni fa portarono la Corte europea a condannare l’Italia per violazione dei diritti umani. Il numero dei detenuti è in forte crescita: 61 mila a febbraio di quest’anno, poco più di 56 mila a febbraio 2023, 54 mila a febbraio 2022. Questo aumento è dovuto alla politica securitaria messa in atto dal governo Meloni, che ha incrementato le fattispecie di reato e inasprito le pene, aggravando le criticità già esistenti, e non ha promosso nessuna politica o azione per contrastare la marginalità, il disagio, la povertà. Altissimo anche il numero dei suicidi, 69 nel 2023, il più alto degli ultimi trent’anni dopo il tragico primato di 84 detenuti che si sono tolti la vita nel 2022: l’età media è di 40 anni, oltre un terzo era in attesa del giudizio di primo grado.
L’articolo 27 sembra totalmente disatteso. Sono alcuni dei dati e dei temi trattati nell’iniziativa organizzata dalla Cgil “Articolo 27. I diritti in carcere”, mercoledì 3 aprile alle 9.30 nella sede nazionale della confederazione a Roma e in diretta streaming su Collettiva.it. Un evento che dimostra come l’articolo 27 della nostra Costituzione venga disatteso sotto ogni profilo. Le carceri italiane sono vecchie e fatiscenti. “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” recita il comma 3. E invece non è così. Anzi, accade tutto il contrario. L’ultima relazione del Garante delle persone private della libertà e il rapporto di Antigone denunciano strutture fatiscenti e condizioni detentive spesso disumane, carceri vetuste, con celle che non sono riscaldate o sono senza acqua calda, senza doccia, con materassi messi a terra. Carceri senza aree per le lavorazioni, palestra, campo sportivo. Celle in alcuni casi con spazi individuali inferiori a 3 metri quadrati, dove spesso i bagni non sono separati ma a vista. “Abbiamo voluto contribuire a una maggiore consapevolezza sulle gravi e persistenti criticità in cui versano le carceri e ragionare sulla funzione della pena ma anche sulle sue alternative – afferma la segretaria confederale della Cgil Daniela Barbaresi -. E abbiamo aperto una riflessione su come liberare il carcere dalle persone per le quali, anche per le condizioni in cui sono molte strutture, la reclusione non può avere nessuna funzione rieducativa e di recupero sociale: persone con problemi di salute mentale, tossicodipendenti, immigrati irregolari, poveri, con pene di breve durata e per reati di scarso allarme, che potrebbero scontare la pena in luoghi diversi e con un forte legame con il territorio”. “Affinché abbia una vera funzione rieducativa, il lavoro deve avere pari dignità e stessi diritti, compreso l’accesso alla Naspi – aggiunge Barbaresi -. È di pochi mesi fa la sentenza del tribunale di Milano di accoglimento del ricorso all’Inps per il riconoscimento dell’indennità disoccupazione di un lavoratore detenuto assistito dalla Cgil, che fa seguito a molte altre sentenze, come quelle di Firenze e Padova. La Cgil ha anche promosso e sostenuto esperienze importanti, gli sportelli lavoro e diritti e protocolli per la formazione e il lavoro”. Anche l’istruzione e la formazione hanno un ruolo importantissimo: secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nell’anno scolastico 2022/23 i detenuti iscritti a percorsi di istruzione sono stati 19 mila, nel primo semestre 2023 sono stati attivati 274 corsi di formazione professionale. Numeri assolutamente insufficienti rispetto ai bisogni, considerando che un quinto delle persone ristrette non ha completato l’obbligo scolastico e quasi un migliaio è analfabeta.
“Raccogliamo il recente monito del presidente della Repubblica Mattarella e ribadiamo che è necessario superare il sovraffollamento, riducendo il numero delle persone detenute attraverso misure alternative, sanzioni sostitutive, sanzioni e misure di comunità, depenalizzazione dei reati minori e minor ricorso alla carcerazione preventiva – conclude Barbaresi -. Vanno poi promosse politiche e azioni di contrasto alla marginalità e al degrado, bisogna investire sul personale e su tutte le figure professionali indispensabili per promuovere le attività volte al reinserimento sociale, a partire da quelle educative, formative e lavorative, oltre a garantire il fondamentale diritto alla salute. Infine, va archiviata la politica securitaria espressione di un pericoloso populismo penale”.
A Rebibbia, nella sezione infermeria, oggi c’è una ragazza, una mamma di nome Cecilia, messicana ma con la cittadinanza italiana. Sta scontando una condanna di 8 anni, ed oggi ne ha fatti 4; è una giovane mamma che ha lottato contro i suoi bambini strappati ingiustamente. Accusata di stalking verso il suo ex marito che attualmente ha il loro figlio in adozione. Da molti mesi è stata messa in isolamento duro senza alcun contatto umano, senza televisione, né acqua calda e senza l’ora d’aria. E’ stata picchiata da un gruppo fino ad esser stata quasi uccisa, sistematicamente insultata, minacciata incessantemente ed aggredita crudelmente. Cecilia ha ogni giorno paura di essere uccisa, specie perché una sua stretta compagna di cella è morta in circostanze sospette durante un trasferimento tra carceri. Si diceva che avesse avuto un attacco cardiaco, ma di fatto non soffriva di problemi cardiaci.
La storia di Cecilia è terribile, come terribili sono le migliaia di altre storie. La sua è soltanto una delle molte realtà drammatiche che le persone detenute incrociano sistematicamente nelle carceri in tutta Italia. Secondo Amnesty International: i maltrattamenti e la tortura sono in crescita nelle carceri italiane, e troppo spesso chi esercita queste atrocità resta impunito.
Non è giusto violare i diritti umani ed alienare una persona fino ad annullarla. E’ tempo di porre fine a queste atrocità. E’ tempo di rendere davvero le nostre carceri, davvero luoghi di rieducazione e non di tortura. E’ tempo di fermare le condizioni disumane a cui i detenuti vengono sottoposti. E’ necessario che si indaghi sugli abusi e le violenze nelle carceri italiane affinché si vigili su chi ha il potere e dovere di esercitarlo nel modo giusto.
Antonella Betti Mancuso