Il difficile assestamento internazionale. Ogni giorno che passa, la situazione geopolitica mondiale muta rapidamente, travolta da guerre e crisi economiche che puntano a ridefinire in maniera imprevedibile gli equilibri globali. L’Italia si trova inserita in questo vortice, incapace di tracciare previsioni certe, vista l’instabilità e le variabili che dominano lo scenario internazionale attuale. La storica difesa occidentale, che si fondava su equilibri consolidati sin dal termine della Seconda Guerra Mondiale, subisce un duro colpo con la recente decisione dell’Presidente Trump di ritirare dall’Europa un contingente militare di 35.000 uomini e mezzi stanziati in Germania. Questo gesto, che segna un netto cambiamento della politica americana verso l’Europa, riflette l’intenzione dichiarata degli Stati Uniti di non voler più sostenere costi elevati per garantire la sicurezza di alleati considerati “indolenti” nella costruzione di una propria autonomia militare europea.
La svolta statunitense – Parallelamente, la diplomazia americana, inizialmente tesa a favorire negoziati di pace per porre fine al conflitto in Ucraina, ha ceduto il passo a un approccio più duro e unilaterale. L’America ha disattivato alcuni canali satellitari che fornivano all’Ucraina informazioni cruciali sulle posizioni delle forze russe. Questo gesto ha aggravato enormemente la posizione ucraina, rendendola cieca sul campo di battaglia e incapace di difendersi adeguatamente. L’Italia, intanto, vive una situazione di autentico paradosso strategico che, come si suol dire, non è ne carne né pesce e neppure verdura: si tratta di una condizione indefinibile che le impedisce di avere una reale voce in capitolo. Il Paese si trova vincolato costituzionalmente dall’articolo 11, che ripudia categoricamente la guerra come strumento per la soluzione delle controversie internazionali. Ma le pressioni esercitate dall’Alleanza Atlantica e dall’Unione Europea impongono all’Italia di incrementare i propri sforzi militari e la propria partecipazione al riarmo.
Macron e la sfida impossibile .
Sul fronte europeo, Emmanuel Macron insiste nel sostenere la resistenza ucraina in una guerra sempre più disperata e impossibile da vincere. Privata dell’appoggio logistico americano, l’Ucraina lotta contro una Russia tecnologicamente superiore, in grado di colpire con precisione micidiale e con strategie militari efficaci. L’ostinazione francese appare dunque priva di sostanza, una scelta di principio che rischia soltanto di facilitare ulteriormente l’avanzata russa e di determinare la definitiva sconfitta ucraina. Di nuovo, l’Italia rimane incastrata tra la volontà di sostenere l’Europa per solidarietà e l’obbligo di aderire alle posizioni strategiche degli Stati Uniti, desiderosi di chiudere un conflitto che rischia di degenerare ulteriormente. Il risultato di questa situazione è contraddittoria. Il nostro Paese è costretto a partecipare passivamente a decisioni prese altrove, senza alcuna possibilità di imporre una propria politica di sicurezza indipendente. Mentre da una parte, l’Italia dovrà adeguarsi alle direttive europee con ampliamento delle dotazioni militari, dall’altra, l’organico nelle nostre Forze Armate da anni è destinato per legge, ad essere ridotto di circa 40.000 uomini.
La spesa militare – Attualmente l’Italia investe circa l’1,5% del proprio PIL nella spesa militare, ma negli ultimi tempi si fa sempre più concreta la pressione, esercitata principalmente dagli Stati Uniti e da altri Paesi alleati, affinché ciascun membro della NATO aumenti questo impegno fino a raggiungere una quota pari al 5%. Considerato che l’Italia, coerentemente con l’articolo 11 della propria Costituzione, ripudia la guerra come strumento di offesa e si troverebbe quindi obbligata a rifiutare una partecipazione diretta a qualsiasi conflitto di natura aggressiva, sorge spontanea una domanda cruciale: quale sarebbe l’utilità effettiva di un incremento così significativo delle spese in armamenti?
La questione solleva inevitabilmente una contraddizione sostanziale tra due posizioni incompatibili: da un lato vi è la posizione individuale, che vede il Paese impegnato costituzionalmente a ripudiare la guerra, e dall’altro lato vi è l’obbligo collettivo, derivante dall’appartenenza alla NATO, di sostenere attivamente l’alleanza con strumenti militari appropriati qualora si rendesse necessario. Questa situazione impone chiaramente scelte importanti e difficili. Infatti, isolarsi rifiutando la partecipazione concreta alla collettività di cui si fa parte, e che invece accetta come principio fondamentale la possibilità di impiegare gli armamenti in caso di bisogno, rappresenta non soltanto una contraddizione concettuale evidente, ma anche una contraddizione in termini rispetto agli obblighi assunti internazionalmente.
Identità sospesa .
L’Italia rischia comunque di restare sospesa in un limbo geopolitico permanente, intrappolata tra il bisogno di compiacere alleati divergenti e l’impossibilità di perseguire un’autentica politica militare autonoma. Il conflitto ucraino ha svelato questa grande ipocrisia strategica, lasciando il Paese in una condizione assurda e contraddittoria: presente ma impotente, visibile ma attualmente non in grado di agire direttamente.