“Caro Papà, ti ringrazio per tutto quello che fai per me…”
Pressappoco è questo il classico incipit che ognuno di noi utilizzava nel vortice dei lavoretti scolastici o nelle fantasiose creazioni cartacee fatte in casa. Era il punto di partenza di un piccolo pensiero d’amore e di ringraziamento rivolto ai nostri papà.
Nel trambusto tecnologico moderno non so se nelle aule scolastiche i bimbi siano ancora abituati a tali piccoli esempi di riconoscenza e affetto, o se nelle case si sia ancora avvezzi a prendere un foglio per scrivervi sopra un pensiero, o scarabocchiarne con tratto fanciullo un coloratissimo e astruso disegno da donare al proprio padre.
Al giorno d’oggi, è più facile, intuitivo e divertente registrare un video su TikTok, deformarsi il viso con qualche filtro stravagante o ordinare con la complicità della mamma un regalo personalizzato acquistato online.
Beninteso, nulla da recriminare a tale ammodernamento dei tempi, delle attività, delle relazioni e delle scelte dei regali. Tuttavia è lecito riscontrarne una certa meccanicità assolutamente priva di fantasia, scevra di finalità sociali.
La letterina al proprio papà, gli annuali lavoretti che le maestre ogni anno ci insegnavano come preziosi riti tramandati e tramandabili, le dolci proposte delle mamme per forgiare assieme ai figli un piccolo pensiero per il genitore, rappresentavano una convergenza di azioni finalizzati all’obiettivo comune: il rispetto per la tradizione.
Istituzioni e famiglia, natura e società, andavano a braccetto lavorando per instillare nelle nuove generazioni il seme positivo del passato. Quel seme che conteneva il naturale amore filiale nei confronti del proprio padre e allo stesso tempo il rispetto per una figura portatrice di sani valori, imprescindibile e insostituibile nella società, che sarebbe poi germogliato e fiorito per tramandare a sua volta tale sentimento.
Nello scegliere su un’applicazione un oggettino da regalare o nel fare un video su TikTok dov’è il fine? ll senso profondo del gesto rischia di perdersi nella mera consegna di un oggetto o in un fugace momento di divertimento. Azioni entrambi utili, ma carenti di messaggi intimi e allo stesso tempo comunitari.
Eppure, la Festa del Papà non è solo una giornata qualunque: ha radici profonde che risalgono a secoli fa. In Italia si celebra il 19 marzo, in onore di San Giuseppe, il padre putativo di Gesù, esempio di dedizione, sacrificio e amore paterno. Per la Chiesa cattolica, è il simbolo della figura paterna per eccellenza, il modello di uomo che cresce un figlio con amore e responsabilità. Ecco perché la festa si è diffusa in questa data nei paesi di tradizione cristiana, legandosi nel tempo a usanze e rituali popolari.
Uno di questi è la tradizione culinaria legata ai bignè di San Giuseppe (o, in alcune regioni, le zeppole). Questi dolci fritti e ripieni di crema affondano le loro origini nelle celebrazioni popolari dell’Italia meridionale e centrale, dove venivano preparati in abbondanza per festeggiare il santo e condividere un momento di gioia. Simbolicamente, rappresentano il calore familiare e la dolcezza dell’amore paterno.
Anche la letterina al proprio papà, i lavoretti che le maestre ci insegnavano a fare ogni anno, le proposte delle mamme per creare assieme ai figli un piccolo dono per il genitore erano momenti di unione, segni di un rispetto per la tradizione che coinvolgeva famiglia e scuola, natura e società. Si trattava di un’eredità che veniva tramandata, di un seme che conteneva il naturale amore filiale e il rispetto per una figura portatrice di valori insostituibili.
Oggi, nel premere un pulsante su un’app per scegliere un regalo o nel registrare un video su TikTok, dov’è il messaggio intimo? Dov’è la dimensione comunitaria? C’è la consegna di un oggetto e un divertimento effimero, ma manca la profondità del gesto.
Nel mondo d’oggi, la divisione classica, genetica, tradizionale dei sessi e dei ruoli sembra alludere a teorie medievali, retrograde e discriminanti.
Nonostante si premetta la libertà di sesso e di espressione a tutti gli individui, non è possibile dichiarare che per un bambino il contesto familiare più idoneo sia quello formato da un padre e da una madre. Bisogna sorbirsi la favola che due madri e due padri possano fornire lo stesso amore, la medesima formazione: non è cosi signori.
Io, come uomo, non potrò mai sostituire completamente l’amore materno, la sua empatia viscerale, la connessione quasi istintiva che la lega al figlio fin dai primi istanti di vita. La madre è rifugio, protezione emotiva, un porto sicuro in cui il bambino trova conforto nei momenti di paura o fragilità. Ha una capacità innata di cogliere i bisogni del figlio prima ancora che vengano espressi, di lenire con un abbraccio, di trasmettere calore e sicurezza con un semplice sguardo.
Allo stesso modo, il padre è spesso colui che incoraggia ad affrontare il mondo, che spinge il figlio a superare i propri limiti con determinazione e coraggio. È guida, modello, colui che insegna a rialzarsi dopo una caduta, a costruire la propria indipendenza, a trovare equilibrio tra protezione e sfida. Se la madre è accoglienza e intimità, il padre è spinta verso l’esterno, verso la scoperta, il confronto e la crescita.
Entrambi possono, con impegno e dedizione, avvicinarsi ai ruoli dell’altro, ma senza mai raggiungere una totale sovrapposizione. Perché la loro complementarità non è una questione di superiorità o esclusività, ma di equilibri naturali che si completano a vicenda, offrendo al figlio un bagaglio di amore, esperienza e formazione che nessuno dei due, da solo, potrebbe garantire nella stessa misura.
Perché la natura non può essere mistificata, né alterata, nonostante esistano madri che uccidono i figli e padri che stuprano le figlie. Che obiezione stupida è mai questa? Qualcuno ha mai pensato di sopprimere tutti i cani del mondo perché ci sono amici a quattro zampe che a volte diventano nemici uccidendo grandi e piccoli? Qualcuno ha mai pensato di togliere le pensioni di invalidità perché ci sono dei mascalzoni che illecitamente ne usufruiscono senza averne il diritto? Aboliamo le basi della nostra civiltà e in questo caso della natura umana solo perché ci sono macabre eccezioni?
Mamma e Papà sono due figure essenziali, importanti e necessarie soprattutto nella loro divisione. Questo non toglie che esistano famiglie omogenitoriali dove uno dei due ha dovuto per obbligo sopperire all’assenza dell’altro/a comportandosi in maniera esemplare, cosi come è impossibile nascondere storie di bimbi cresciuti in coppie omosessuali con felicità, affetto e opportunità.
Ma il punto non è uniformare le eccezioni: è riconoscere che, per quanto la società possa evolversi, la presenza di un padre e di una madre rimane l’ambiente più naturale e completo per la crescita di un figlio.
Per questo, la Festa del Papà non è solo un giorno qualsiasi. Non è solo l’occasione per fare un regalo, ma per fermarsi a riflettere su cosa significhi davvero essere padre. E magari, tra un pensiero e un bignè di San Giuseppe, ricordare che l’amore paterno si esprime nei piccoli gesti quotidiani, nel tempo donato, nella presenza costante e in quel legame unico che nessun progresso tecnologico e alcuna ideologica imposizione potranno mai sostituire.
Buona Festa del Papà.