Roma – Il 27 giugno 2012 la Camera dei Deputati ha varato la Riforma del Lavoro che è entrata in vigore il lo scorso 18 luglio.
Il nucleo centrale del recente ordinamento è focalizzato su un mercato del lavoro inclusivo e dinamico che dovrà favorire rapporti più stabili ma permettere anche una maggiore flessibilità.
Le premesse specificano che l’assunzione subordinata a tempo indeterminato, sarà il contratto dominante e l’apprendistato, la via maestra per l’ingresso dei giovani, ma nel contempo sarà più facile il licenziamento e si applicheranno anche nuove forme di tutela per i disoccupati. Purtroppo, questi obiettivi pensati per un restyling delle leggi sul lavoro risalenti agli anni ’60 e ’70, si dimostrano nei fatti quasi tutti irraggiungibili.
In sintesi le principali novità degli istituti interessati dal testo normativo si possono evidenziare:
– nei rapporti a termine e somministrazione, dove è stata introdotta la possibilità di stipulare un solo contratto a tempo determinato per lo svolgimento di qualsiasi tipo di mansione e per un periodo non superiore a 12 mesi;
– nei contratti a progetto, che non potranno più essere stipulati per attività puramente esecutive e laddove le attività assegnate al collaboratore si svolgano con modalità analoghe a quelle espletate dai dipendenti del committente, viene introdotta una presunzione di subordinazione;
– nei contratti regolati da partita IVA, dove il rapporto si presume, fino a prova contraria, di collaborazione coordinata e continuativa se la collaborazione ha una durata complessiva superiore a 8 mesi nell’arco dell’anno solare, se più dell’80% del fatturato del prestatore d’opera è costituito dalle somme a lui versate dal committente e se il collaboratore dispone di una postazione fissa di lavoro presso il committente (e sufficiente che ricorrano almeno due delle citate condizioni);
– nei contratti di apprendistato, dove la legge prevede la reintroduzione della durata minima del rapporto, che non potrà essere inferiore a 6 mesi e sarà accompagnato da un sistema di incentivi sia sotto il profilo dei benefici contributivi, sia sotto quello dei limiti percentuali di assunzioni;
– in tema di licenziamento, dove il nuovo processo del lavoro istituisce un rito speciale abbreviato esclusivamente per le controversie aventi ad oggetto l’impugnativa del licenziamento nelle ipotesi regolate dall’art.18 dello Statuto dei Lavoratori ( e sue modificazioni);
– nell’ambito della cassa integrazione, dove si stabilisce per i settori che non ne sono coperti, l’istituzione di fondi di solidarietà bilaterali;
– nella materia degli strumenti di sostegno del reddito, dove è stata introdotta l’assicurazione sociale per l’impiego (ASPI) che sostituisce l’assegno di disoccupazione ed in futuro anche quello di mobilità.
La legge, comunque, nonostante i buoni propositi , rimane una chimera e viene criticata giornalmente a spada tratta da tutte le Sigle sindacali e dalla Confindustria, che da tempo chiede a voce alta, anche una maggiore detassazione del lavoro, gli incentivi per l’innovazione e la semplificazione burocratica.
Pertanto, ultimamente, il Legislatore è dovuto più volte intervenire e riservarsi la possibilità di modificare e integrare quanto previsto dalla normativa, con nuovi interventi legislativi ad hoc.
Possiamo concludere affermando che la nuova riforma del lavoro, con il passare del tempo si palesa sempre più inefficiente ed incompleta e che giustamente è stata soprannominata dai più maligni “ Riforma in progress”.
Ernesto De Benedictis