Una pièce teatrale sulla vita di Amedeo Modigliani (1884- 1920), grande artista “maledetto”, quasi un Caravaggio del XX secolo, i cui quadri e sculture si vendono tuttora a prezzi incredibili. E’ stata questa la grande scommessa – pienamente vinta – di Angelo Longoni, regista, sceneggiatore e drammaturgo: che al “Quirino” di Roma ha portato in scena, con la sua stessa regìa, la vita del pittore livornese, artista “bohemien” sfortunato e spesso incompreso in vita, quasi privo di senso pratico-economico ( diversamente dall’amico-rivale, piu’ volte ricordato nella piece, Picasso). Che sul palcoscenico del “Quirino” è rivissuto nella vulcanica interpretazione di Marco Bocci, attore cinematografico e televisivo già noto al pubblico: calatosi incredibilmente nel personaggio (che ricordava anche fisicamente), ricreando in pieno i moti del suo animo e le oscillazioni della sua vita artistica e sentimentale.
L’ottica scelta da Longoni per questo “Modigliani” è stata soprattutto quella delle quattro donne piu’ importanti nella vita dell’artista (che, tra l’altro, ebbe, come uno dei fratelli maggiori, quel Giuseppe Emanuele Modigliani, piu’grande di dodici anni, che, deputato socialista amico di Turati e di Salvemini, avrebbe rappresentato la parte civile al primo processo per l’assassinio di Giacomo Matteotti: divenendo infine, nel secondo dopoguerra, presidente del PSLI di Saragat). Cioè Kiki di Montparnasse (Giulia Carpaneto), celebre modella, e donna anticonformista, che introduce il giovane pittore italiano, appena giunto a Parigi, nell’effervescente, quanto spietato, sert artistico della “Ville Lumiere”; e Anna Achmatova ( Vera Dragone), poetessa russa con cui Modigliani ha una relazione intensa quanto infelice. Poi Beatrice Hastings (Romina Mondello), giornalista inglese che è determinante per inserire meglio l’ artista nel mercato artistico, ma non riesce a legare sentimentalmente con lui per la sua natura troppo dominante. Infine, colei che sarà il vero amore di Amedeo: quella Jeanne Hébuterne ( Claudia Potenza), anche lei pittrice, che l’artista sposerà poco dopo la “Grande Guerra” ( nonostante la forte opposizione dei genitori di lei, ostili al pittore italiano, per giunta d’ origine ebraica), avendone anche una figlia. Sullo sfondo, costantemente la Parigi degli anni Dieci-Venti, la Parigi di Apollinaire e di Picasso, di Utrillo e di Joyce, di Scott Fitzgerald e del giovane Hemingway: centro culturale di respiro planetario, ma anche spietata matrigna, teatro, per molti, d’una quotidiana, darwiniana lotta per la sopravvivenza. A questa lotta, il fragile Modigliani non riuscirà mai ad adattarsi in pieno: trascinando la sua vita (lui, da giovane sofferente di broncopolmonite, sfociata poi in tubercolosi, e ulteriormente rovinatosi nel contatto con la polvere di marmo delle sculture) da un eccesso all’altro, dall’alcool all’ hashish ( situazioni, queste, peraltro comuni alla maggior parte degli artisti di allora).
Il 27 gennaio 1920, quella stessa Parigi tributerà un omaggio incredibile, con uno spettacolare funerale, a “Modì”, scomparso, a soli trentasei anni, tre giorni prima ( e seguìto nella morte, il giorno dopo, dalla sua Jeanne, gettatasi dal balcone). Questo spettacolo di Longoni- forte poi di stupende scenografie, tra la “Boheme” pucciniana e le vedute parigine degli impressionisti – fa riflettere sui piu’ temi: il rapporto genio- sregolatezza, il senso complessivo della vita, il ruolo sociale dell’arte, la volubilità e la spietatezza del mercato artistico.
di Fabrizio Federici