Il fenomeno delle bevute compulsive è un problema sociale emergente che si va consolidando soprattutto nella popolazione giovanile.
Sono stati stimati in più di 4 milioni gli adolescenti che in Italia nei fine settimana assumono cinque e più bevande alcoliche in un intervallo di tempo breve , solo per il gusto di sballarsi.
L’abbuffata etilica detta “bringe drinking” in voga negli Stati Uniti e nei paesi del nord Europa, è divenuta per i giovani un facile modo per trasgredire, perché forse più accettata rispetto al consumo della droga.
Anche se la legge vieta la somministrazione e la vendita di alcolici ai minori di 16 anni, le continue immagini e spot pubblicitari, che mostrano personaggi famosi, sponsor ufficiali di mojiti, birre e drinks alla moda, insinuano in maniera subliminale le menti ancora immature dei ragazzi. Le cronache quotidiane ci parlano spesso di incidenti, risse e cadute in cui sono coinvolti minori che hanno alzato il gomito e che non sono stati sufficientemente allertati.
A peggiorare le cose sono le conseguenze a lungo termine che queste frequenti sbronze possono provocare in una grande percentuale di assuntori che ancora sono deficitari dell’enzima per metabolizzare l’alcol.
Secondo i ricercatori dell’Osservatorio Nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità i danni maggiormente riscontrati in età adulta sono in primis le demenze senili, da sommare ad altre 50 condizioni patologiche, fra cui diversi tipi di tumore, varie malattie renali e cardiocircolatorie.
Va rammentato infatti che, l’alcol distrugge le cellule nervose. Solo dopo i vent’anni si attivano le sinapsi tra l’ippocampo, regolatore del comportamento e le aree pre-frontali del cervello, addette alla razionalità. L’etilismo interferisce con questa maturazione e fa regredire il cervello.
Efficaci strategie per abbattere questo pericoloso atteggiamento potrebbero essere interventi tempestivi composti da maggiori controlli ed una più accurata informazione per evitare che l’occasionalità si trasformi in alcolismo permanente. Quantunque i programmi realizzati in altri stati europei hanno dimostrato che la sola applicazione di leggi più restrittive e la maggiore sorveglianza non sono stati sufficienti a fronteggiare tale comportamento e che si è dovuti ricorrere ad approcci individuali e colloqui motivazionali.
Ernesto De Benedictis