ROMA – Diciotto cartelle e venti minuti per l’ultimo messaggio di fine anno di Napolitano da presidente della Repubblica.
Un settennato il suo, arrivato a conclusione di un anno politicamente molto acceso, contraddistinto dall’esperienza governativa di Monti e che finisce con le recenti dimissioni del presidente del Consiglio, pochi mesi prima della scadenza della legislatura.
Giorgio Napolitano dal suo studio al Quirinale, si è rivolto ai protagonisti veri della crisi, parlando dell’esistenza di un’autentica questione sociale «situazioni gravi di persone e di famiglie che bisogna sentire nel profondo della nostra coscienza e porre al centro dell’attenzione e dell’azione pubblica». Della necessità di distribuire meglio i costi della ripresa, senza colpire le fasce più deboli che hanno pagato più duramente questo momento.
Il presidente ha sottolineato che i sacrifici sono stati necessari, perché hanno portato a un ritorno di fiducia sull’Italia, ma che ora è necessario reagire per affrontare tutte le situazione sociali più importanti.
Bisognerà uscire dalla recessione e rilanciare l’economia, portando in sede europea proposte credibili per una maggiore integrazione e corresponsabilità nel portare avanti politiche capaci di promuovere, sviluppo, giustizia sociale e lavoro.
Poi il Capo dello Stato ha avuto una parola affettuosa per giovani che «hanno più motivi di tutti per essere aspramente polemici contro scelte sbagliate e riforme mancate». L’auspicio del presidente è che però le nuove generazioni non polemizzino solo, ma partecipino attivamente al cambiamento e all’apertura di nuove strade.
Dopo i giovani ha espresso un opinione sulle incivili condizioni in cui versano le carceri italiane e il suo profondo rammarico per la mancata adozione di una legge che avrebbe potuto migliorarle.
Nessun giudizio politico, invece, alla vigilia delle elezioni, che ha deluso chi si aspettava da qualche giorno un suo forte intervento. Solo una breve parentesi sulla salita in politica di Monti: «Il senatore ha compiuto una libera scelta di iniziativa programmatica e di impegno politico. Egli non poteva candidarsi al Parlamento. Poteva, e l’ha fatto, patrocinare una nuova entità politica che prenderà parte alla competizione. D’altronde non c’è nella nostra Costituzione l’elezione diretta del primo ministro».
E’ stato un discorso volutamente pacato, privo di spigoli nello spirito – dichiarano dal Quirinale – di una riflessione ampia che un Paese democratico e maturo non può non affrontare.
Ernesto De Benedictis