Di Alberto Zei
Con il senno del poi – Dopo la collisione della Concordia sulla secca delle Scole, il Comandante Schettino è stato considerato l’emblema di una persona che per meriti non condivisi ha ottenuto l’affidamento di una prestigiosa nave da crociera, le cui responsabilità di comando non si sono rivelate compatibili con quelle della sua capacità professionale. La maggior parte della gente non ha ritenuto importante conoscere di più; se non qualcuno interessato ai particolari di questa vicenda, a scopo risarcitorio. Entrando però dentro la notizia, si comprende che la realtà è un’altra. Sembra infatti, che fino adesso abbia prevalso sulla condanna di Schettino il fatto che la collisione e tutto ciò che questa ha comportato, non sarebbe avvenuta se il Comandante si fosse tenuto a debita distanza dalle coste dell’ Isola e non avesse invece, condotto la nave a squarciarsi sopra una secca del Giglio. Tutto ciò è ormai scolpito a caratteri quasi indelebili nell’ immaginario collettivo della maggior parte delle persone e da quanto si evince, anche nella sentenza della Corte di Appello di Firenze. Dalla realtà processuale dei fatti sull’ erroneo presupposto della diretta responsabilità attribuita a Schettino, è derivata la stessa sentenza di appello che, applicando la legge, ha addirittura inasprito la pena. Questa è adesso la condizione di partenza del processo di Cassazione che si terrà prossimamente davanti alla Suprema Corte. Ma se anche nell’ ultima revisione processuale verrà sorvolata la realtà delle cose, ovvero, se ancora si riterrà, così come è stato ritenuto in appello, che Schettino sia stato l’ artefice del pericoloso avvicinamento della Concordia alle coste del Giglio, allora è molto probabile che anche il processo di Cassazione sarà per lui tutto in salita.
Il profilo del Comandante prima dell’evento – Qualche anno fa, se qualcuno avesse pensato ad una rappresentanza nazionale della Marina mercantile circa la professionalità espressa al massimo livello, molto probabilmente si sarebbe trattato del comandante Francesco Schettino. Egli, infatti, a fronte di una brillante carriera era stato posto dalla compagnia Costa al vertice del comando di una delle due più prestigiose nave da crociera, la Costa Concordia, sulla quale fino al giorno del terribile incidente, si era comportato, al contrario di quanto molti ritengono, in modo piuttosto brillante.
Il Comandante Schettino, descritto da chi lo conosceva prima del sinistro, era una persona naturalmente cordiale e disponibile con tutti. Egli però, assumeva per le sue qualità professionali di cui sicuramente era immodestamente consapevole, un atteggiamento alquanto autoritario e verticistico a sostegno delle sue decisioni in navigazione con il personale di bordo ed in particolare con i colleghi ufficiali con i quali difficilmente condivideva il supporto complementare. Altre volte la sua autorità si trasformava però, in autorevolezza, quando per intuizione marinara o per ostentata capacità di esperto comandante, riusciva a prevenire, a fare e anche a osare, ciò che gli altri inizialmente disapprovavano dal loro punto di vista professionale. Le sue decisioni in navigazione talvolta erano piuttosto estreme. E’ perciò anche naturale che situazioni ripetitive di questo genere dessero piuttosto fastidio allo staff (bridge team) di plancia formato da uomini altrettanto validi, ma che molto spesso venivano contrariati dagli intendimenti divergenti dello stesso Comandante che affidava le decisioni di bordo più al suo intuito personale che ai più o meno buoni consigli di navigazione e soprattutto di manovra, da parte dei propri ufficiali. Con due esempi di comportamento in navigazione apparentemente contrari, meglio si delinea un atteggiamento professionale che si presta e si sottrae insieme, ad un’unica definizione del rapporto che Schettino ha con il mare.
Eccesso di sicurezza e spavalderia – Non sempre però, l’attenzione dell’equipaggio in generale e degli ufficiali in particolare, si poteva focalizzare sul suo modo un po’ guascone di affrontare le difficoltà. Altri casi infatti, accaduti in condizioni di navigazione pericolosa, denotano inaspettatamente proprio dai racconti del personale, un comportamento ragionevole e più prudente di altri colleghi suoi pari, di altri mercantili in quelle stesse circostanze. E’ difficile dare a Schettino un unico connotato di persona spavalda e imprudente o al contrario, di comandante pavido di fronte alle avversità del mare e alle difficoltà di navigazione. Si vuol riportare a supporto delle apparenti ambiguità di comportamento del Comandante della Costa Concordia due episodi emblematici per un verso, della sua capacità professionale e per l’ altro, dell’ intuizione e della prudenza che è stato capace di esprimere. Si legge in un rapporto:” “La Concordia sta affondando e per la prima volta i suoi ufficiali hanno la forza di ribellarsi al loro comandante. Non l´avevano avuta il 17 dicembre scorso quando – è l´altra sconvolgente verità che emerge dai verbali – Schettino mette a repentaglio una prima volta la nave, carica di passeggeri. Quel giorno, la Concordia è all´ancora nel porto di Marsiglia. Il vento soffia tra i 50 e i 60 nodi. Una tempesta. Racconta l´ufficiale di coperta Martino Pellegrino. Non era certamente amichevole l’ intenzione di Pellegrino quando esprime la considerazione che egli nutre verso il suo Comandante. Egli infatti, prosegue: «Ci radunò sulla banchina e ci informò che saremmo usciti comunque, nonostante quel vento. Ci fu un silenzio agghiacciante. Ci guardammo tra di noi, ma non avemmo la forza di parlare. Poi, ci ordinò di ispezionare i respingenti della banchina, per assicurarci che tenessero». Quel giorno, infatti, la manovra è spericolata. La “Concordia” lascia la banchina con le “macchine avanti tutta” facendo leva proprio su quei respingenti, come fossero una molla”.
Nel segno della prudenza – C’è anche chi lo ricorda come un valido comandante per opposte ragioni. Si riporta anche qui un commento di un intervista fatta all’ epoca ad un membro del’ equipaggio di cui sfugge il cognome. Si tratta di Fernando, salernitano, uno dei responsabili del ristorante Milano, quarto ponte della Concordia. “Chi ha lavorato con lui sulle navi Costa lo descrive «un grande professionista», «un comandante preparato», «un uomo mai arrogante e sempre disponibile con tutti», «un marinaio abilissimo nelle manovre». Fernando rievoca infatti, un episodio del febbraio 2011: «Stavamo navigando in Atlantico da Tenerife alle Canarie a Fune hai sull’Isola di Madeira. C’erano altre navi in quell’area, ma Schettino è stato l’unico a interpretare correttamente i dati meteo e a capire che stavamo andando incontro a una bufera. Tra le proteste dei passeggeri ha cambiato programma, è rientrato nel Mediterraneo e ha fatto rotta su Malaga. Chi non ha fatto come noi si è ritrovato con mare forza 10 e una nave della Royal caribbean ha avuto 300 feriti a bordo. Questo è Schettin
L’ aggressività passiva – Doveva avvenire prima o poi che le emotività represse dall’ egocentrismo protagonista di Schettino, si manifestassero sotto forma della così detta, “aggressività passiva”. Pur non essendo qui il luogo di approfondire questa interessante sfaccettatura psicologica della frustrazione, si accenna soltanto che si manifesta in generale attraverso le tipiche azioni omissive, rispetto a quanto si dovrebbe fare per evitare un danno. ll limite delle 0,5 miglia nautiche da terra
Analogamente quella parte dell’equipaggio dello staff di coperta che non si sentiva in grado di agire o reagire alle contrarietà incontrate nei rapporti con il Comandante per timore reverenziale, quando finalmente si presenta l’ occasione, ecco che improvvisamente tutto fa pensare che abbia assunto un comportamento omertoso, lasciando che il “leone” si ferisse a morte. L’atteggiamento di Schettino non poteva infatti, non generare una progressiva frustrazione professionale tra lo staff degli ufficiali di coperta addetti al controllo della navigazione quando è lui stesso che impone a tutti quanti le proprie irrevocabili decisioni. Non soltanto, ma quella stessa mattina Schettino aveva redatto in un rapporto alla Società Armatrice sull’attività professionale del Primo Ufficiale Ambrosio, la di lui inidoneità all’avanzamento di grado di Comandante. La notizia di quello stesso giorno, non deve aver fatto a d’Ambrosio un effetto diverso da quello immediatamente intuibile.
A incrementare in quella notte, la serie delle circostanze relazionali negative con l’ equipaggio definito da Schettino: “dall’ inaspettato cronico disagio”, si aggiunge l’ omesso riporto del superamento del limite richiesto di 0,5 miglia, la disinvolta osservazione della manovra da parte dei tre ufficiali di coperta, la mancata segnalazione dopo, della eccessiva penetrazione della nave verso terra. Se ciò non bastasse, a questo punto subentra anche il timoniere Rusli. Questi infatti, dopo il congruo periodo di addestramento per l’esercizio dell’attività a cui gli è predisposto, ovvero, quella di timoniere e dopo un altrettanto, si presume, congruo periodo operativo al governo di una nave di prestigio come la Concordia, diviene improvvisamente refrattario ai comandi che Schettino impartisce. Questi dopo il naufragio, non rendendosi ancora conto che il timoniere aveva compiuto degli errori di manovra che avevano modificato la rotta della Concordia, riferisce soltanto che la eccessiva penetrazione della nave a lato del porto del Giglio non corrispondeva a quella da lui stesso richiesta.
Foto di repertorio- Il Comandante Schettino sul ponte di comando
Dichiara infatti, a verbale: ” Sul ponte di comando, era stata tracciata la rotta, io avevo fissato un 05 (circa 925 m) di distanza dal passaggio; al primo ufficiale che seguiva le consegne impartite gli dissi di ridurre la velocità inizialmente man mano che la nave accostava e si portava sulla dritta. Dissi: adesso io assumo il comando e termino la manovra.”
Da un’intervista successiva riportata dall’Ansa, si legge: “In plancia – ricorda la sera del 13 gennaio lo stesso Schettino – non vi era caos, la navigazione era semplice e tranquilla, ero in plancia in sostanza per salutare l’isola, altrimenti non sarei salito: in una situazione chiara e di estrema semplicità, ho visto prevalere dapprima un inaspettato ‘cronico disagio’ per aver richiesto di effettuare un’accostata con timone a mano che avrebbe dovuto essere di normale routine e invece si è trasformata in una tragedia”. Sempre dai verbali si legge che a bordo non vi era agitazione alcuna, per l’eccessivo avvicinamento a costa. Quindi, gli errori di virata, compiuti, come si vedrà, ripetutamente da Rusli non erano neppure teoricamente imputabili ad uno stato di nervosismo che fino allora il timoniere non poteva avere. Rusli quindi, non poteva essere agitato a causa dell’ ansia di una situazione che ancora non conosceva. O invece la conosceva? Ma dalla lettura della relazione peritale egli sembra ora perdere il significato delle parole, non comprende o non esegue se non, in modo sbagliato. Il timoniere , infatti, in meno di un minuto travisa due vitali ordini del Comandante. La registrazione della scatola nera si apre alle 21.43 La Concordia è a circa due minuti dall’ impatto.” Schettino (in inglese) ordina: “starboard” (barra) a “350” al timoniere indonesiano Rusli. Che tuttavia dimostra di comprendere a tratti, perché all’ordine risponde “starboard 340”. Schettino lo richiama: “Otherwise we go on the rocks”, altrimenti finiamo sugli scogli. Parole accolte da risate. In quel momento non sembra esserci alcuna tensione. Né di Schettino, né degli ufficiali di coperta che sono con lui.“
Quando Schettino però, si rende autonomamente conto nel buio della notte, della grave condizione di avvicinamento verso terra della Concordia, ben oltre il limite previsto dalle 0,5 miglia, rivolge al timoniere Rusli la richiesta delle opportune manovre per uscire rapidamente fuori da quella situazione. Questi però, risponde con una serie di errori che anziché migliorare la condizione in cui la Concordia si trovava, determinavano un aggravamento. A fatti avvenuti, come sarà analizzato attraverso la verifica della scatola nera, del GPS, della registrazione vocale e della registrazione dei dati delle richieste di impostazione dei timoni e dei relativi posizionamenti raggiunti, si potrà costatare che il timoniere in quelle delicate circostanze ha commesso ben otto “errori” prima dell’impatto sulla secca delle Scole. La Concordia è ormai entrata in emergenza. Il timoniere però, continua a “sbagliare” fino all’ultimo momento anche quando avrebbe dovuto eseguire l’ ultima virata, ripetuta più volte da Schettino fino a gridarla qualche secondo prima dell’impatto; ma la virata che il timoniere imposta è quella contraria con i timoni a dritta anziché a sinistra come ordinato; manovra che se fosse stata eseguita correttamente, avrebbe allontanato la nave dagli scogli sui quali ha invece, assurdamente colliso. Un caso? O più precisamente, otto casi? Otto, infatti, sono stati in quel breve tempo, gli “errori” del timoniere.
“A bocce ferme” – Dopo il susseguirsi di tali circostanze è anche consequenziale ritenere che se lo staff di comando avesse anche una sola volta, avvisato il proprio Comandante come avrebbe dovuto, che la Concordia era arrivata al limite fissato delle 0,5 miglia dalla costa, questa sarebbe transitata davanti al porto del Giglio a quasi 1 km di distanza e ad oltre 100 metri di profondità. Schettino di questi errori non sapeva, né poteva immaginare la intenzione di Rusli; ciò che vedeva era che la Concordia non rispondeva ai comandi, per cui insisteva richiedendo virate con angolazioni crescenti fino all’estremo limite di “tutta barra”.
Le ingenue parole di Schettino – Si ricorda a proposito le parole, a dire il vero, piuttosto ingenue dello stesso Schettino nella citata intervista. “Nessuno mi ha avvisato quando quel limite è stato superato. Mi chiedo come si fa a non profferire parola, dubbio o incertezza quando è in gioco così tanto”. Se ciò non fosse bastato a mettere il Comandante Schettino in estrema difficoltà quando lui stesso ha assunto il comando della Concordia, si passa alla seconda fase, quella in cui interviene direttamente il timoniere a completare l’opera fino all’estremo. Non solo, ma se Rusli avesse eseguito, come detto, anche l’ ultima manovra, gridata più volte inutilmente da Schettino, in tal caso a fronte della ricostruzione tecnica-matematica dei tempi e della rotta, la Concordia sarebbe transitata a largo dello scoglio e nessuna tragedia sarebbe avvenuta.
L’ Italia culla del diritto – La domanda che sorge spontanea è per quale motivo tutto questo non è stato sufficientemente evidenziato e valutato durante il processo di appello. Questo aspetto processuale si evince dalla sentenza che ha invece ancora inasprito il contenuto punitivo, anche se al momento non sono ancora note le relative motivazioni.
La risposta che molte persone sono solite dare alle varie argomentazioni sulla più o meno colpevolezza del Comandante e che sembra poi, essere anche quella seguita dall’accusa e avallata dal Tribunale, è che non si può prescindere dal fatto che Schettino non doveva avventurarsi a quella distanza dal Giglio e che quindi per questa ragione viene ritenuto colpevole di tutto ciò che è avvenuto prima, durante e dopo la collisione. Ma a far superare alla Concordia il limite di 0,5 miglia dalla costa, non è stato Schettino ma coloro che non hanno eseguito l’ordine, omettendo semplicemente di informare il comandante.
L’ ingiustizia non sta nella pena… -Quando Schettino salì sul ponte per effettuare personalmente il passaggio davanti al porto del Giglio, era in compagnia di alcune persone salite per assistere allo spettacolo. Erano presenti in plancia in quella fredda e buia notte di inverno, attendendo con una certa immaginabile …… impazienza il Comandante che si era attardato, dopo aver cenato in compagnia: il Primo Ufficiale Ambrosio, il Secondo Ufficiale Ursino e il Terzo Ufficiale Coronica, un allievo Ufficiale di Coperta, oltre che a due o tre altre persone al di fuori del contesto di comando. Ognuno dei primi avrebbe potuto riferire al comandante notizie sulla distanza delle 0,5 miglia raggiunte dalla Concordia. In particolare l’ufficiale addetto al radar, tenuto conto della necessaria maggiore vigilanza notturna, in special modo durante l’avvicinamento alle coste del Giglio, non può non aver visto ciò che invece, non ha riferito a Schettino. Ma nessuno di questi profferì parola. A chi attribuire dunque, la volontà che la Concordia proseguisse oltre il limite di distanza delle 0,5 miglia dalla costa, impedendo di fatto dopo, al comandante di riportare la nave al di fuori del trabocchetto?
..ma nella persona – Allo stato delle cose, è lecito chiederci come sia stato possibile confermare in Appello, la condanna a 16 anni di reclusione, a fronte di un evento così traumatico come la tragedia della Concordia, prescindendo anche in questa sede, dalla ricerca dei veri responsabili e addossando invece, all’unico capro espiatorio e cioè Schettino, una colpa che sicuramente non ha. Non ha e non può avere, perché lui stesso è la 33ª vittima di questa tragedia, quasi sicuramente non voluta in questa misura da alcuno, ma di cui tuttavia, le dimensioni assunte sono state la conseguenza di volontà che sicuramente non comprendevano in alcun modo quella del Comandante Schettino.