“Dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fiori”, verso sublime che chiude la nostalgica Via del campo, nonchè orgoglio della poetica cantautoriale italiana. Rovesciare questo assioma ideologico, e pensare senza esitazione che il letame resti letame, potrebbe apparire una blasfemia. De André aristocratico della penna ha riposto poesia nei livelli più bassi dell’esistenza, in una storia di marci vicoli e amore transessuale. Ed è cosi che Via del campo diviene una luce eterea che riscalda e attutisce lo squallore di una bassissima, aspra e difficile vita da strada. Però, mettendo da parte pulsioni sentimentalistiche, si fa fatica a trovare un fondamento realistico in quel motto generoso e gentile che fa del letame un fiore. Più cinicamente, guardando ai fatti di cronaca, alle storie di prostituzione e al faticoso vivere di stenti, ci si accorge con dispiacere che non sarà certo una canzone a riscattare i senzadio, i poveri diavoli, quelli che per diritto naturale nascono antiborghesi. Fondamentalmente anche De Andrè è un antiborghese ma per scelta, e questo gli è costato una deformazione di sè, della sua persona.
Un giorno, stanco di sentirsi il simbolo di qualcosa da cui non credeva di essere rappresentato, scappò via da uno di quei ghetti per ricchi della costa settentrionale della Sardegna, dove lo avevano invitato. Lui avrebbe voluto discutere di fatti di cronaca, mentre gli altri gli mettevano la chitarra in mano per farlo suonare; ne fu così infastidito che pensò “è bello che dove finiscono le mie dita debba in qualche modo incorniciare una chitarra”, insultò tutti e tornò a casa.
Scappando via dal ghetto per ricchi si era ribellato all’etichetta di cantautore da intrattenimento, magico e profondo, ma pur sempre con una chitarra da far suonare. Questa vicenda personale, canzoni a parte, è un paradigma di autenticità, un episodio in cui De Andrè litiga con la musica per poi tornarci a fare l’amore (tenendo conto dei confini entro cui agisce una canzone). E’ un atteggiamento onesto e, una volta messo da parte il dolce conforto della musica, anche le storie dei vecchi vicoli tornano a trasudare di cinico realismo.
Oltre una canzone, quale gesto umano è davvero determinate? Si può continuare a cantare davanti ai caminetti dei salotti Via del campo, a mo’ di ostentato automonito, in compagnia del suono pregiato di una chitarra acustica. Oppure indignarsi e rifiutare che De Andrè resti De Andrè, dall’alto della sua poesia, e che il letame resti letame.
Silvia Buffo