La consapevolezza che Una pietra sopra sia un’opera da analizzare nella sua totalità, ossia nel suo significato complessivo, è un presupposto fondante nella finalità di rintracciare, all’interno della raccolta, il filo delle trasformazioni soggettive e oggettive, e delle continuità evidenziando un percorso evolutivo nel pensiero teorico di Italo Calvino. Ogni saggio è la presentazione di un determinato momento del suo pensiero, una porzione di tela all’interno di un quadro, che esige di essere guardato in maniera complessiva. La prima porzione di questa consistente tela coincide con il saggio d’esordio Il midollo del leone, costituisce una porzione importante all’interno del quadro poiché presenta il personaggio, che si muoverà negli spazi e le scene dell’intera opera, all’inizio del suo percorso: il personaggio-Calvino nelle qualificazioni dell’intellettuale impegnato. Il saggio risale ad una conferenza letta a Firenze il 17 febbraio 1955 per la sezione fiorentina del “Pen Club” su invito di Anna Banti; ripetuta in seguito in varie città italiane. Pubblicata su Paragone, nº66, giugno 1955.
La stagione letteraria è quella del Neorealismo, ed è l’inizio di quel lungo percorso che Calvino ha effettuato nella sua vita; le aspettative verso la letteratura sono elevate, la fiducia enorme, eppure sono gli anni post-bellici, ma la giovinezza intellettuale dello scrittore rende in questo saggio profonda energia, attivismo, fortissimo senso etico, incrollabile volontà. La posizione ideologica si esprime nella maniera più netta nel paragrafo dodicesimo del saggio: «noi siamo pure tra quelli che credono in una letteratura che sia presenza attiva nella storia, in una letteratura come educazione, di grado e di qualità insostituibile. Ed è proprio a quel tipo di uomo o di donna che noi pensiamo, a quei protagonisti attivi nella storia, alle nuove classi dirigenti che si formano nell’azione, a contatto nella pratica delle cose. La letteratura deve rivolgersi a questi uomini, deve – mentre impara da loro – insegnar loro, servire loro, e può servire solo in una cosa: aiutandoli ad essere sempre più intelligenti, sensibili, moralmente forti». Azione, attivismo, energia sono le parole chiave all’interno del saggio e l’espressione midollo di leone non poteva che essere idonea, poiché la letteratura non è interessata ad «un rapporto affettivo con la realtà»: l’idillio, la commozione, la nostalgia risultano soluzioni ingannevoli. Per Calvino occorre, dunque, muoversi verso una rivincita dell’intelligenza umana e razionale sui suoi due maggiori nemici: «la furbizia intellettualistica, avara e allusiva, e l’entusiasmo lirico irrazionalista e falsamente generoso».
Inoltre l’intellettuale deve sfuggire da un altro rischio, che è il suo marchio di condanna: molti intellettuali si credono uomini nuovi, rinnovatori della storia ma probabilmente hanno molti conti in sospeso con la propria natura, ad esempio quelli che «vogliono far passare un’inappetente sufficienza snobistica per rigore ideologico, una gretta sufficienza strapaesana per il culto delle tradizioni nazionali». Questi atteggiamenti sono denunciati da Calvino come ipocrisia; egli, infatti si allontana da essi, non trascurando nulla di se stesso, poiché «il rinnovamento della storia procede da uomini che con la loro natura ed educazione non hanno nulla in sospeso, che sanno di far parte di un tutto, sanno che anche i limiti e i difetti, se accettati come tali, si possono far tornare all’attivo, in un’economia di valori più complessa e movimentata». Questa è una caratteristica riconducibile alla semplicità intellettuale di Calvino, al suo umile e analitico approccio alle cose, alle sue facoltà critiche nell’esattezza di decifrare in maniera equilibrata i fatti circostanti. L’equilibrio di Calvino conduce ad un approccio, caratterizzato da uno slancio fiducioso verso la letteratura, come proiezione su di essa di un’interpretazione positiva. Difatti, un’ulteriore questione, presentata in questo saggio, è legata proprio all’interpretazione: i libri possono essere buoni o cattivi a seconda di come vengono letti.
Dunque, la letteratura risulta un mezzo quasi del tutto condizionato dall’interpretazione. Calvino, a tal proposito, esemplifica tramite l’efficace figura di Pintor poiché egli è che pur facendo parte del decadentismo europeo, si oppone al decadentismo, all’evasione, all’ambiguità morale. Lo scrittore è, infatti, persuaso da convinzioni del tutto positive legate alla letteratura, individuabili in questa celebre espressione: «in ogni poesia vera esiste un midollo di leone, un nutrimento per una morale rigorosa, per una padronanza della storia». A tal proposito la validità dell’esempio di Pintor è indiscutibile, poiché egli ha agito attraverso il rigore del linguaggio, il rifiuto di ogni compiacenza romantica. La sua operazione è, per Calvino esemplare, attraverso di essa passa la civiltà delle lettere. «Cosi, vorremmo trovare attraverso tutta quella montagna di letteratura del negativo che ci sovrasta, a quella letteratura di processi, di stranieri, di nausee, di terre desolate e di morti nel pomeriggio, la spina dorsale che sostenga noi pure, una lezione di forza, non di rassegnazione alla condanna».
E attraverso le stesse modalità di valutazione, che di grandi maestri come Thomas Mann, Picasso, Pavese non bisogna guardare il loro Decadentismo, al contrario quel nucleo di umanità razionale, di classica chiarezza, poiché «non sono la decadenza, l’irrazionalità, la crudeltà, la corsa alla morte dell’arte e della letteratura che devono farci paura; sono la decadenza, l’irrazionalità, la crudeltà, la corsa alla morte che leggiamo continuamente nella vita degli uomini e dei popoli, e di cui l’arte e la letteratura ci possono far coscienti e forse immuni». E’ necessario vivere la letteratura nella consapevolezza che la vera paura non è nell’irrazionale in sé ma è nell’irrazionale della vita, questa consapevolezza costituisce la verità fondante dell’intero saggio.
Silvia Buffo